WeDo, fatturato a 160 milioni. «Ora l’obiettivo è l’internazionalizzazione»
La holding dell’arredo ha archiviato il ’21 con ricavi in aumento del 28 per cento. Il presidente Andrea Olivi conferma la strategia: «Puntiamo a nuove acquisizioni, anche nel contract». C’è un problema “dimensione” per le imprese italiane: le aggregazioni sono strategiche
TREVISO. Una strategia declinata per obiettivi che punta a fare di WeDo un gruppo leader del made in Italy con un’offerta che comprenda tutti gli ambiti dell’arredo, dalla cucina agli imbottiti, dal living alla camera da letto. Non dimenticando il contract né l’ufficio. Un gruppo che continui a crescere anche per linee esterne e che «sia internazionalizzato. L’export - chiarisce Andrea Olivi, presidente di WeDo - non basta».
WeDo Holding controlla sette aziende attive nei settori della casa, dell’ufficio e dell’healthcare (che riunisce le partecipazioni societarie dei quattro eredi figli di Ettore Doimo) di cui 4 in provincia di Pordenone (Dvo e Mis Medical a Roveredo in Piano, Arrital e CopatLife a Fontanafredda, Frezza a Vidor e Doimo Cucine a Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso, a cui si è unita di recente la trentina Rotaliana, che si occupa di illuminazione) e ha realizzato nel 2021 ricavi per poco più di 160 milioni di euro contro i 132 del 2020, +28%.
E rispetto al 2019?
«Il dato non è paragonabile - risponde Olivi - perché il perimetro del Gruppo era diverso, ma sì, siamo cresciuti bene anche rispetto all’anno pre-Covid».
I fattori peculiari di questa crescita, quali sono?
«Parte del merito va al mercato che, come abbiamo già riconosciuto, in questi anni di pandemia ha riscoperto il piacere della casa. Ma credo abbiano contribuito alcune scelte precise che, come gruppo, abbiamo fatto, optando per un riposizionamento dei nostri prodotti e anche per le trasformazioni che abbiamo apportato su alcune linee, penso ad esempio all’ufficio, che è il segmento che ha sofferto di più. Ovviamente le economia di scala ci hanno aiutato ad ottenere un Ebitda margin di circa il 10%, il 9,93% per la precisione».
Qual è il target?
«Ci posizioniamo su una fascia medio-alta di prodotto, ad alto contenuto di design, con un buon rapporto qualità-prezzo».
Continuerete a crescere anche per linee esterne?
«Certamente. Abbiamo acquistato Rotaliana, azienda specializzata nel settore dell’illuminazione per interni, che era uno dei nostri obiettivi, e il marchio Busnelli, che ci ha fatto entrare nel mondo dell’imbottito».
E...?
«E valutiamo altre possibili acquisizioni, anche nel settore contract, per diventare un gruppo in grado di operare in tutti i settori dell’arredo».
Se dico sostenibilità, lei che cosa risponde?
«E’ un fattore imprescindibile e se vogliamo approcciare nuovi mercati, è un obiettivo da raggiungere. In caso contrario paesi come, ad esempio, gli Usa, non saranno aggredibili. Non parlo quindi di greenwashing, ma di sostenibilità vera che attraversi l’intera filiera e la produzione. Un tema di cui non ci occupiamo da oggi e rispetto al quale abbiamo già compiuto alcune scelte che sono risultate premianti, forti di fondamentali economici-finanziari e di un approccio innovativo di un gruppo come il nostro. Che richiede trasparenza, qualità piuttosto rara...».
E investimenti.
«Mediamente investiamo in ricerca e sviluppo circa 10 milioni di euro l’anno, in parte destinati all’individuazione di nuovi materiali, di produzioni eco-sostenibili, nell’ammodernamento degli impianti, nela produzione 4.0».
Sostenibilità non è sinonimo solo di ambiente. Le persone che posto occupano?
«C’è una condivisione di valori, oltre che obiettivi, in questo gruppo e con la proprietà, che si declinano in impegno rivolto a innovazione, ricerca, sviluppo e anche alla tutela della comunità, al benessere dei dipendenti, al welfare. Abbiamo avviato un programma innovativo di formazione, puntiamo molto sui giovani e le donne. Siamo anche un po’ visionari e sognatori quando dico che lavoriamo per un lusso democratico e il buon gusto».
Guardando ai mercati?
«L’Europa è il nostro mercato domestico, siamo molto presenti in Francia, in Spagna, con le cucine, siamo leader, ora puntiamo a Usa e Medio oriente con il modello della multinazionale».
Ovvero?
«Il nostro modello di espansione non si basa sull’export ma su partnership che ci consentano di presidiare i nuovi mercati attraverso società costituite ad hoc».
Internazionalizzazione, quindi. Dove e quando?
«Usa e Nord America in via prioritaria, poi Messico e Medio Oriente. Stiamo pianificando, potremmo essere pronti il prossimo anno».
“Superare l’individualismo”, è un concetto che aveva sollevato lei non troppo tempo fa. Che cosa significa?
«Secondo me c’è una dimensione minima necessaria per affrontare certi mercati, serve solidità patrimoniale, economica e finanziaria, e il percorso è difficile nel mercato italiano. L’individualismo delle Pmi è certamente anche un valore, ma in un mercato globalizzato la dimensione è importante, la consistenza è importantissima e chiede modelli più strutturati».
Anche dal punto di vista della finanza.
«Certamente. Occorre muoversi verso il mercato dei capitali, evitando il solito ricorso alle banche, entrando in una dinamica capitalistica vera. Non c’è solo l’equity, ci possono essere i gruppi contrattali, le reti. Tutto si può fare, ma bisogna saper rinunciare a vere o presunte rendite di posizione».
Mi par di capire che siete disponibili a questo genere di operazioni.
«Cerchiamo questo tipo di aggregazione: mettere insieme persone e intelligenze per vincere. Restando piccoli è difficile avere una posizione significativa sui mercati».
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