Dazi e tasse anti-Cina: la logistica si adegua ai nuovi scenari globali
Il report Assoporti e Srm Intesa Sanpaolo: nonostante le tariffe volute da Trump cresceranno ancora gli scambi tra Usa e Italia. «Possibili distorsioni sulle rotte»

Non ci sono solo i dazi minacciati da Trump contro l’Unione europea. La guerra commerciale ingaggiata con la Cina per il controllo di tecnologie e traffici, le mire sul canale di Panama, le tensioni con l’Iran e il riaccendersi degli attacchi Houthi nel mar Rosso stanno rimodellando la geografia degli scambi internazionali. Con ricadute importanti sul sistema logistico italiano.
I conti li fa il centro studi Srm di Intesa Sanpaolo con Assoporti, l’associazione nazionale dei porti italiani, nel rapporto “Port Infographics 2025”. Gli Stati Uniti sono il secondo mercato per l’export italiano, dopo la Germania. Nel 2024 le merci scambiate con Washington hanno sfiorato il valore di 70 miliardi di euro e sono transitate soprattutto per porti e aeroporti. Nei primi nove mesi dell’anno, infatti, il 53% dell’import-export tra Italia e Usa, pari a 35,8 miliardi di euro, è avvenuto via mare e il 42%, pari a 27,9 miliardi, attraverso il trasporto aereo. Un quarto del nostro export marittimo è diretto verso gli Stati Uniti, con Trieste in cima alla lista dei porti italiani più esposti con 1,61 milioni di tonnellate movimentate. Esportiamo soprattutto apparecchi meccanici (9,4 miliardi), prodotti agroalimentari (5,5 miliardi) e mezzi di trasporto (4,3 miliardi).
«L’Italia esporta negli Usa prodotti di qualità», sottolinea Alessandro Panaro, Head Maritime & Energy di Srm-Intesa Sanpaolo. «Il dazio non è che un appesantimento del costo caricato sul prodotto, ma per il consumatore di fascia alta, che compra made in Italy, il prezzo non rappresenta un problema». Nonostante il pericolo che si inneschi una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico, Srm e Assoporti prevedono infatti un aumento dei traffici in entrambe le direzioni: la rotta eastbound dal Nord America all’Europa passerà da 1,85 milioni di teu del 2022 a 2,15 milioni previsti nel 2028 (+16%), la rotta westbound dal Mediterraneo al Nord America da 3,42 milioni di teu del 2022 a 3,66 milioni nel 2028.
Ecco perché, secondo Panaro, sull’andamento degli scambi «la questione dazi è meno preoccupante di un altro aspetto». Il riferimento è alla Ships proposed action avanzata dalla United States trade representative (Ustr) che mira a introdurre una tassa portuale fino a un milione e mezzo di dollari sulle navi cinesi e di costruzione cinese che attraccano nei porti statunitensi. L’obiettivo è frenare il dominio commerciale cinese sul mare, rivitalizzando l'industria navale statunitense. Numeri alla mano, però, verrebbe colpita la maggior parte della flotta globale. «Tutti i principali operatori container hanno navi di costruzione cinese, anche gli armatori italiani. Ad esempio Msc ha il 93% delle navi in costruzione in cantieri cinesi, Maersk il 70%, Cma Cgm il 52%. Se gli Stati Uniti imporranno una tassa del genere potrebbero innescare un sovrapprezzo sui noli che andrà a finire sugli scaffali», spiega Panaro. Che, di fronte all’avvento dei dazi, non vede il pericolo che si instaurino «preoccupanti spirali inflazionistiche, ma distorsioni logistiche nelle rotte marittime».
«Quello degli armatori è un settore estremamente flessibile e resiliente alle disruption economiche», spiega l’esperto. Il sistema logistico, insomma, reagisce alle crisi, geopolitiche o commerciali, e si adatta ai mutamenti in atto, trovando altre strade. È quel che è avvenuto sulla rotta per il canale di Suez, dove la situazione non si è ancora normalizzata, anzi. «Il 2024 si è chiuso con un - 65,4% di merci transitate e gli Houthi hanno annunciato nuovi attacchi», fa notare Panaro. In base ai servizi di linea comunicati a febbraio la rotta per Capo di Buona Speranza da alternativa è diventata strutturale. «Ormai l’imprenditore sa già quali sono i tempi e organizza i magazzini di conseguenza. Il costo aumenta per via delle rotte più lunghe, ma gli armatori mettono in campo più navi e riducon oi ritardi. Cambia la logistica, ma non si crea una disruption».
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