Il terminal container del porto di Venezia va in cassa integrazione
PORTO MARGHERA. Durante e dopo il lokdown della scorsa primavera le attività portuali a Venezia e Chioggia, a differenza di tante altre, avevano tenuto, garantendo l’approvvigionamento delle merci, a cominciare dai generi alimentari e sanitari, e la loro distribuzione in tutto il Nordest.
Ma nel frattempo i traffici mercantili a livello mondiale continuavano a ridursi, aggiungendo difficoltà ulteriori ai porti lagunari - che fanno capo all’Autorità di Sistema Portuale, commissariata dopo la crisi consumatasi in seno al Comitato di Gestione Portuale - che rispetto a quelli del resto d’Italia e del nord Adriatico, hanno particolari problemi di accessibilità nautica per l’insufficiente pescaggio dei canali lagunari in attesa da anni dei dragaggi.
Tant’è che il terminal container - uno dei due attivi nell’isola portuale - della multinazionale Vercon-Psa, quello che più lavorava sulla rotta asiatica con navi più grandi, con scalo nel porto greco del Pireo, ha concordato con le organizzazioni sindacali dei lavoratori del porto alla cassa integrazione per Covid che interesserà a rotazione i suoi cinquanta dipendenti diretti e un numero ancora maggiori di lavoratori delle imprese interinali e della Nuova Compagnia del Lavoratori Portuali che vengono chiamati di volta in volta a scaricare e caricare le navi in arrivo o partenza dal terminal e finiranno, pure loro, in cassa integrazione.
Il terminal rinfuse del centro Intermodale di Tia (ex Cia) che per il momento ha fatto rientrare i lavoratori. L’altro terminal container veneziano, gestito da Tiv spa, malgrado una riduzione delle attività per il momento non ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.
Al contrario il terminal crociere di Vtp di Santa Marta è da mesi chiuso con tutti i dipendenti in cassa integrazione e non si sa quando riprenderanno. A Chioggia sono in cassa integrazione i lavoratori delle due cooperative di manodopera (Impreport e Sorima).
Nel maggio scorso il terminal veneziano di Vecon-Psa, a causa del mancato dragaggio del canale dei Petroli (iniziato solo da qualche giorno) ha perso l’unico servizio diretto con il Far East asiatico con la soppressione del servizio shuttle Venezia-Pireo ed il ridimensionamento di altri servizi “feeder”, con navi di dimensione medio-piccole, che toccano anche i porti di Trieste, Capodistria e Ravenna.
«La riduzione degli accosti ha causato, tra gennaio e giugno, una drastica riduzione della capacità di stiva dei carichi in transito e dei container lavorati del 23%» spiega una nota della direzione di Vecon «arrivata al 30% ad ottobre, con un trend che si sta confermando per novembre, nonostante le crescenti richieste di merce».
In questo quadro, sottolinea la direzione di Vecon: «il deterioramento dei volumi, unito al mancato rinnovo della concessione che si trascina dal 2018, ora bloccato in attesa del rinnovo del Comitato di Gestione dell’ente portuale commissariato, determinano un crescente quadro di incertezza che rischia di pregiudicare i piani di sviluppo previsti vanificando ogni ragionevole sforzo imprenditoriale».
L’allarme di Vecon è condiviso dal segretario della Filt-Cgil, Renzo Varagnolo: «noi siamo in lotta da mesi per chiedere al Governo di decidere, una volta per tutte, la nuova presidenza, gli interventi necessari a garantire la piena accessibilità nautica, con i dragaggi dei canali e l’adeguamento della conca di navigazione del Mose, altrimenti il porto muore». —
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