La bolla immobiliare: «Imprese del Nordest in Cina, caute ma decise a restare»
Renzo Isler, per molti anni direttore generale di Generali China Life, è uno dei massimi conoscitori del Pianeta Cina. Oggi dirige la task force europea (Eusme Centre) che accompagna le piccole e medie imprese nel Paese ed è segretario generale della Camera di Commercio Italiana in Cina

Renzo Isler, per molti anni direttore generale di Generali China Life, è uno dei massimi conoscitori del Pianeta Cina. Oggi dirige la task force europea (Eusme Centre) che accompagna le piccole e medie imprese nel Paese ed è segretario generale della Camera di Commercio Italiana in Cina.
Renzo Isler, è possibile che la Cina sia sull’orlo di un “momento Lehman”, come l’ha definito il Wall Street Journal?
«Il paragone è improprio in quanto i due sistemi politici e di gestione dell'economia sono molto diversi. La bolla immobiliare americana del 2008 è stata causata da una malaccorta gestione di prodotti derivati “spinti” che sul mercato cinese non sono ammessi. Tuttavia anche in Cina l'immobiliare è un settore critico e indirettamente condiziona anche il credito e tutto l’indotto che ruota attorno ad esso».
Basteranno le misure di sostegno all’economia decise dal governo di Pechino?
«É presto per fare previsioni. La situazione resta complessa con un potenziale effetto dominio. Il Governo sta agendo con incentivi finanziari e manovre fiscali che finora non sembrano aver dato quella inversione di rotta che tutti si aspettano. Il 13 agosto il Consiglio di Stato ha emesso un parere sull'aumento dell'attrattività per investimenti dall’estero. Successivamente arriveranno le norme attuative, che saranno le più importanti poi da leggere ed interpretare. Da queste sapremo quali saranno effettivamente i cambiamenti e gli incentivi per gli investitori stranieri in Cina. Una cosa è certa. La Cina non vuole perdere il treno dello sviluppo e della crescita. E per farlo deve giocoforza rivolgersi ai mercati esteri».
I maggiori pericoli per l'economia mondiale oggi arrivano dalla Cina? Come sta la Cina oggi?
«A mio avviso i pericoli sono molteplici e, contrariamente al passato, si intrecciano tra economia, finanza e geopolitica. Questi rischi non provengono solo dalla Cina ma sono il risultato di una manovra volta e ridurne il peso nello scacchiere mondiale rallentandone la crescita. La Cina, uno dei principali finanziatori del debito pubblico americano, resta ancora molto solida patrimonialmente, con ampie riserve auree, investimenti importanti in valuta e, soprattutto, con tutte le leve in mano da poter aprire o chiudere a seconda delle necessità».
Anche l’Europa rischia la recessione, stretta fra inflazione, frenata tedesca, instabilità mondiale dovuta alla guerra in Ucraina e ora anche la Cina. Siamo di fronte a una tempesta perfetta?
«Non sarei così pessimista. I governi e le banche centrali hanno ancora molte frecce nella faretra. Sarà importante però che vengano usate con saggezza e lungimiranza. Da tutti: Europa, Usa e Cina in primis».
Come si é arrivati alla bolla immobiliare cinese?
«Nasce da lontano. Da anni spiego ai miei amici cinesi che prima o poi sarebbe accaduto. Sarà doloroso ma spero che questa volta il problema venga affrontato con pragmatismo. Non dimentichiamo che in Cina non esiste tassa sulla proprietà. Tutto il terreno è demaniale e affidato alle singole Province (equiparabili a Stati) che vendono agli immobiliaristi. Le Province alimentano i propri conti economici da queste operazioni e permettono loro di emettere obbligazioni per finanziare lo sviluppo dei rispettivi territori. La proprietà di un appartamento è praticamente una concessione per 75 anni».
E cosa è accaduto?
«Dopo il tonfo in borsa del 2008 il cinese abbiente ha speculato sul mercato immobiliare comprando molteplici appartamenti quali investimento sperando che le cose cambino».
Quale impatto dalla crisi cinese per le nostre imprese esportatrici?
«Dopo la pandemia si respira ottimismo ma anche molta cautela. Da un recente sondaggio la maggior parte delle aziende italiane e del Nordest presenti oggi in Cina è determinata a restare nel Paese ma non ci sono spinte per nuovi investimenti, in un clima generalizzato di attesa sugli sviluppi futuri e gli interventi governativi».
Veniamo alla valutazione sul Memorandum d’intesa siglato con Pechino che ha rilanciato anni fa il ruolo del porto di Trieste sulla Via Della Seta. Oggi il governo si appresta a dare disdetta a questi accordi. Qual è la sua valutazione sui rapporti oggi fra Italia e Cina? Belt and Road discorso chiuso anche per Trieste?
«Il memorandum non sposta molto l’ago della bilancia negli interscambi commerciali Cina-Italia, ma ha un peso politico che originariamente non si è ben valutato e che adesso ci mette in una certa difficoltà diplomatica. Per il Porto di Trieste mi pare che i giochi siano fatti ma continueranno gli interscambi. Il Forum sulla Via della Seta si svolgerà in ottobre a Pechino e sarà interessante seguirne le evoluzioni, che per ora si fermano all’Asia, con sconfinamenti in Africa».
Come analizza il ruolo geopolitico e commerciale del porto di Trieste oggi anche considerata la presenza di Hhla nel Molo Settimo (e ricordando che i tedeschi hanno aperto all’ingresso dei cinesi di Cosco a Berlino)?
«Il mondo commerciale segue una sua strada pragmatica, che non esclude la Cina. Quindi non ritengo che l’entrata di Hhla precluderà lo sviluppo dei traffici commerciali via mare da e per la Cina».
In questa che si preannuncia come una nuova tormenta economica l’Europa ha bisogno di recuperare un ruolo più incisivo nel sostegno all’economia? E come?
«L’economia europea non può ignorare la Cina e allo stesso tempo il partenariato, sempre più forte, con gli Stati Uniti e gli alleati occidentali, condizionato dai nuovi scenari geopolitici. Per fare ciò i Paesi dell’Unione Europea si stanno muovendo in ordine sparso, consci degli interessi delle rispettive aziende multinazionali (e non) che continuano a mostrare interesse nell’enorme potenziale del mercato cinese. Prova ne sia le missioni del cancelliere Scholz e del presidente francese Macron che hanno siglato importanti accordi bilaterali con aziende cinesi».—
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