La farmaceutica vale 4,8 miliardi: così l’industria sposa la ricerca scientifica
PADOVA. Se ne parla con enfasi ora che impazza l’emergenza sanitaria, ma la farmaceutica è un settore che da molto tempo a Nordest vanta esperienze imprenditoriali e professionali di grande rilievo. Innanzitutto fattura con le sue aziende principali intorno a 4,8 miliardi, e occupa in Veneto Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige oltre 5.600 addetti (12.300 se si considera anche l’indotto). Ma il risvolto di questa potenza di fuoco è che si tratta di un giro d’affari denso di innovazione, ricerca scientifica, presenza estera, forza lavoro altamente qualificata e istruita. Insomma è un settore in cui i numeri, in qualche modo, “pesano” di più.
Se ne occupa il mensile Nordest Economia nel numero in uscita martedì 16 febbraio. Come scrive nell’analisi introduttiva il professore di Ca’ Foscari Giancarlo Corò, «in questa industria si intrecciano molte questioni cruciali dell’economia moderna. La prima è il ruolo fondamentale della conoscenza nella produzione». In secondo luogo è un settore in cui è forte l’intreccio fra pubblico e privato. L’altra grande questione è l’organizzazione multinazionale, che «costituisce, di fatto, la regola», come scrive Corò.
«Se c’è un limite da considerare – conclude l’economista – è forse nella “eccessiva” vocazione manifatturiera attribuita alla nostra industria farmaceutica nelle catene globali del valore. In altri termini, siamo grandi produttori di principi attivi e di packaging farmaceutico, ma non riusciamo a creare e brevettare nuovi farmaci che si affermano sui mercati internazionali».
Un punto di vista che nei suoi termini generali mostra di condividere anche un’affermata imprenditrice del settore, Diana Bracco, in qualità di presidente del gruppo Bracco presente nel Nordest con lo stabilimento di Torviscosa. Intervistata da Maurizio Cescon per il nostro mensile, l’imprenditrice afferma che il valore della ricerca è tanto maggiore in questi tempi di pandemia: «La terribile emergenza sanitaria che stiamo vivendo – osserva l’imprenditrice – ha fatto capire a tutti il valore incommensurabile della ricerca scientifica e dell’innovazione. Da questa pandemia il mondo uscirà con la consapevolezza che occorre uno sviluppo diverso, più sostenibile e più attento all’ambiente e al benessere delle persone». C’è però anche l’aspetto della competitività internazionale delle aziende: «La ricerca è essenziale – afferma Diana Bracco – per garantire il futuro delle aziende. Senza prodotti unici e innovativi non si vince nella competizione globale sempre più dura e sfidante».
La ricerca e l’innovazione del resto sono ingredienti qualificanti anche nei comparti collegati alla farmaceutica in senso stretto, quelli del biomedicale e dei dispositivi medici. Un esempio calzante è l’esperienza della Stevanato, il gruppo di Piombino Dese partito dalla produzione di fiale e approdato al proprio assetto multinazionale e alla fornitura di beni e servizi hi tech per le multinazionali del farmaco. Come afferma il ceo Franco Stevanato, intervistato da Paolo Possamai, l’azienda padovana è diventata «l’esito dell’integrazione di tecnologia di processo e prodotto, con servizio annesso». Insomma un approdo che nei suoi aspetti di qualità e di integrazione internazionale è l’esperienza di svariati gruppi trainanti del Nordest. —
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