La guerra del Prosecco, spedito alla Ue il dossier che motiva il “no” al Prošek croato
In 14 pagine le motivazioni tecniche, storiche e territoriali sulla base delle quali va negato il riconoscimento geografico per il vino croato
TREVISO. Un dossier di 14 pagine in cui è riassunta – e precisata – la posizione italiana, comprese le motivazioni tecniche, storiche e territoriali, sulla base delle quali non può essere riconosciuta la menzione geografica per il Prošek croato.
Il documento, inviato all’Unione europea. è stato illustrato nel corso di una conferenza stampa svoltasi il 9 novembre dal Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli e dal sottosegretario Marco Centinaio che ha la delega al settore vitivinicolo, alla quale hanno preso parte anche i presidenti dei consorzi Conegliano Valdobbiadene, Prosecco Doc, Colli Asolani e l’Associazione Patrimonio delle Colline Unesco.
«Le motivazioni per cui ci opponiamo alla denominazione tradizionale Prošek sono ben solide e rappresentate nel documento che abbiamo inviato alla Commissione, tra le principali c'è la questione della omonimia tra la denominazione Prošek e la Dop – ha spiegato il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanell – . È a rischio il sistema Paese, il sistema di protezione delle denominazioni geografiche e l'eccellenza della produzione agroalimentare italiana. Si rischia di istituzionalizzare l'italian sounding».
Niente di più facile se si pensa che oggi quasi una bottiglia di vino italiano su sei stappate all'estero è di Prosecco e, grazie a un incremento delle vendite oltre confine del 32% nel 2021, il Prosecco è il vino italiano più consumato al mondo, secondo un'analisi della Coldiretti su dati Istat dei primi sette mesi dell'anno.
«L’Italia ha dimostrato all’Europa che tutti si sono messi a disposizione, dai consorzi ai comuni – ha aggiunto il sottosegretario Marco Centinaio -. Abbiamo prodotto il miglior documento possibile da presentare in opposizione. Le colline del Prosecco sono un patrimonio dell’umanità, oltre che agricolo anche culturale, quindi non possiamo pensare che da parte dell’Europa ci sia poca considerazione».
Ora la Croazia ha 60 giorni di tempo per replicare.
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