La metà dei veneti emigrati ha la laurea: «Così perdiamo la nostra competitività»

Il report della Fondazione Nord Est. «Con i laureati se ne vanno anche gli investimenti pubblici e delle famiglie»

Brillo Nicola

Nel 2022 oltre la metà dei giovani che sono partiti da Friuli-Venezia Giulia aveva il diploma universitario, quasi la metà quelli che hanno lasciato il Veneto per l’estero. Il segnale d’allarme è stato lanciato dallo studio realizzato da Fondazione Nord Est.

E con i laureati se ne vanno anche gli investimenti pubblici e delle famiglie compiuti fino alla laurea nelle due regioni: 1,1 miliardi nel solo biennio 2021-2022 (900 milioni dal Veneto e 200 milioni dal Friuli-Venezia Giulia). Il segnale è chiaro: il tessuto produttivo italiano non sa valorizzare i laureati, come accade negli altri Paesi europei avanzati.

E il conto si fa più salato se prendiamo in esame il periodo dal 2011 al 2023: 15,7 miliardi nelle due regioni (così suddivisi: 12,5 miliardi dal Veneto e 3,2 miliardi dal Fvg). Questi sono gli investimenti del solo sistema scolastico, vengono esclusi dal conteggio ad esempio i costi sanitari e tutte le altre spese pubbliche. La nuova ondata migratoria dei giovani italiani, iniziata nel 2011, si sta sempre più caratterizzando come uscita di laureati. Se fino al 2018 la loro quota era inferiore al 30%, dal 2019 è iniziata a salire fino a superare di slancio il 43% nel 2022.

L’aumento dei laureati che emigrano è stato particolarmente forte nelle regioni nordestine: +19,3% la differenza tra 2022 e media 2011-22 in Friuli-Venezia Giulia, seguito dal Veneto con +16% punti; al terzo posto le Marche (+15%), poi Lombardia (+14,4%) ed Emilia-Romagna (+14%). “Nella caccia globale ai giovani talenti l’Italia è preda, nel senso che fornisce talenti al resto del mondo - commentano Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior, e Luca Paolazzi, direttore scientifico di Fondazione Nord Est -. Questa scomoda posizione fa rimanere il Paese indietro nella competizione dell’economia della conoscenza. Più in generale, come sottolinea il Rapporto Draghi, la competitività oggi si gioca meno sul costo relativo del lavoro e più sulla conoscenza e le competenze racchiuse nella forza lavoro. L’Italia perde ogni anno una fetta consistente di questa conoscenza e di queste competenze, a beneficio dei Paesi concorrenti che, a cominciare dal sistema imprenditoriale, meglio sanno valorizzare i giovani”.

Nel 2022 oltre il 40% dei giovani italiani emigrati aveva completato solo gli studi secondari superiori, contro il 38% della media 2011-22. Mentre solo il 17% non aveva concluso il percorso formativo superiore, rispetto al 31% medio del periodo. Un aspetto rilevante (e preoccupante) è che, simmetricamente all’aumento della quota dei laureati sui giovani che emigrano, si è registrato nel biennio 2021-2022 il calo della quota dei laureati sui giovani che rientrano. Se i laureati sono facilmente etichettabili come “talenti”, non vanno poi trascurati i valori di intraprendenza, coraggio, voglia di fare e imparare, di affermarsi e darsi chance migliori di chi lascia il nostro Paese pur sprovvisto del più alto titolo di studio.

“Trattenere i giovani sul territorio significa garantire loro opportunità - commenta il segretario regionale del Partito Democratico, Andrea Martella -: disporre di un salario minimo dignitoso, poter lavorare in condizioni che assicurino salute e sicurezza, non dover accettare di essere intrappolati nella rete del lavoro povero, quello che si annida soprattutto nei moltissimi part time involontari specialmente femminili, nel lavoro nero e grigio, nelle vaste aree di sfruttamento del parasubordinato, nei falsi tirocini extracurricolari”.

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