La pandemia frena la Via della Seta D’Agostino: la Cina si riprenderà presto
TRIESTE Doveva essere la dimostrazione che gli accordi commerciali stretti fra Italia e Cina potevano essere improntati a reale reciprocità e che la Via della Seta può essere percorsa in entrambi i sensi. La prova del nove dovrà tuttavia essere rimandata a causa del coronavirus, che ha congelato il progetto di export del vino del Nordest, fortemente voluto dall’Autorità portuale di Trieste e oggetto nei mesi scorsi della stipula di un apposito memorandum siglato a novembre a Shanghai alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Tutta la partita della Via della seta è entrata in un imbuto di incognite a causa dell’epidemia globale e così finisce in standby anche la creazione della catena logistica annunciata nella primavera scorsa dal presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino. Un progetto pensato per far partire vino e altri prodotti gastronomici del Friuli Venezia Giulia e delle regioni vicine alla volta di due terminal terrestri situati a Nanchino e Canton. Sbocchi di un collegamento che partirà via mare da Trieste e che dovrebbe approdare negli scali cinesi di Ningbo e Shenzen, già collegati con l’alto Adriatico da alcune linee marittime.
A Trieste si è pure tenuto alla fine dell’anno scorso un incontro tra i vertici dell’Authority e rappresentanti di China Communications and Construction Company, firmataria degli accordi di Roma e di quelli di Shanghai. La stessa che nei giorni scorsi, sulla scia di quanto la Cina sta facendo in molte parti del mondo, ha inviato ai lavoratori del porto giuliano uno stock di diecimila mascherine: un’operazione in pieno stile piano Marshall, con tanto di imballi inneggianti all’amicizia italocinese.
Cccc è il braccio operativo delle realizzazioni infrastrutturali della Via della seta, ma il suo raggio d’azione di estende anche all’ambito commerciale e alla vendita via internet. Un meeting tra produttori del Nordest e incaricati della compagnia cinese era in programma un mese fa, ma è stato annullato a causa dell’epidemia in Cina. E ora tutto il processo rischia di andare per le lunghe, nonostante l’Autorità continui a studiare la creazione di un magazzino a temperatura controllata per lo stoccaggio dei prodotti da spedire nel Far East.
Il negoziato sulla piattaforma del vino, rispetto alla quale si era parlato anche di un mai decollato interesse di Suning, fino a oggi è andato avanti molto rapidamente, sottolinea D’Agostino, ma «purtroppo le cose hanno rallentato a causa del coronavirus, che ci ha costretto a cancellare anche la partecipazione alla fiera della logistica di Shanghai.
Davanti a questa stasi forzata nelle relazioni con la Cina, stiamo però lavorando per rafforzare l’operazione di contatto nel Nordest con produttori del vino e grandi trader». Gli incontri vanno avanti da mesi e l’Autorità avrebbe già ottenuto manifestazioni di interesse dalla vicentina Zonin, che è oggi il maggior produttore di vino a livello italiano. Contatti sono in corso con i friulani di Fantinel, ma l’Autorità sta guardando anche alle piccole cantine del Friuli Venezia Giulia e ai grandi distributori.
Secondo D’Agostino è proprio il mercato cinese quello a cui puntare in tempi di coronavirus: «In questo momento la Cina sembra essere l’unico mercato vivo e sicuro verso cui si può pensare di esportare nel breve, per un ragionamento che è economico e non politico. Si spera che i dati del contagio possano cominciare a diventare positivi in Italia, ma la Cina sembra intanto essersi liberata dal flagello e sta ripartendo. In generale l’export verso quel Paese, significa aggredire un grande mercato e penso che nei prossimi mesi tutte le collaborazioni potranno dare risultati positivi.»
«Soltanto per il suo uso interno – spiega D’Agostino – una compagnia delle dimensioni di Cccc compra ogni anno centomila bottiglie, da donare a ospiti e dipendenti o usare nei rinfreschi. Bottiglie che oggi non sono italiane e questa è una tendenza che vogliamo ovviamente mutare. Partiremo da qui per fare un test e capire quali possano essere i prodotti più adatti alla grande distribuzione, che resta l’obiettivo finale». Coronavirus permettendo. —
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