La sindrome della moria del kiwi mette a rischio le piantagioni esistenti

Il pericolo riguarda il 15-20 per cento sul totale. Il fenomeno nato nel 2012 nel Basso Veronese. Più di tremila ettari nel solo Veneto

Nella prossima riunione del Comitato Fitosanitario Nazionale, che si terrà nel mese di settembre, saranno esaminati gli ultimi aggiornamenti e verrà istituito uno specifico Gruppo di lavoro tecnico-scientifico al fine di coordinare le attività di ricerca, definire le linee guida per la gestione della moria del kiwi, sulla base dei risultati emersi dalle attività di indagine tenutosi sui territori colpiti, e verificare le condizioni per individuare eventuali interventi mirati sul settore.

A renderlo noto è il Sottosegretario alle Politiche Agricole, Giuseppe L’Abbate, nel corso di una interrogazione parlamentare in Commissione Agricoltura al Senato. La sindrome della moria del kiwi è un fenomeno già manifestatosi a partire dal 2012 nell’area del basso veronese e, più recentemente, ha interessato anche altre zone di coltivazione nazionale, in particolare la provincia di Latina nel Lazio.

Si tratta di una manifestazione molto complessa e di difficile interpretazione date le numerose casistiche osservate. Le piante di kiwi che ne rimangono colpite manifestano, infatti, avvizzimenti della parte aerea della pianta e una riduzione della pezzatura dei frutti e risulta in particolar modo compromesso l’apparato radicale, con marcescenza diffusa delle radici di minore diametro.

“Agli studi condotti sin dal 2012 in Veneto, si sono aggiunti quelli nel Lazio – ha dichiarato il Sottosegretario Giuseppe L’Abbate – Dall’esito degli studi finora condotti si sta delineando l’ipotesi per cui il fenomeno della moria è la conseguenza di più cause che insieme concorrono ad alterare la vitalità degli apparati radicali fino a comprometterne la funzionalità.

"L’adozione di nuove pratiche di coltivazione, come ad esempio la copertura delle piante per proteggerle dalla pioggia, sistemi di irrigazione a goccia, uso di portinnesti specifici e particolari lavorazioni dei terreni possono contribuire al miglioramento delle condizioni di coltivazione e alla conseguente regressione dei sintomi. Allo stesso tempo – prosegue L’Abbate – è indispensabile continuare nelle attività di ricerca con l’obiettivo di identificare con certezza le cause dei disseccamenti e definire una strategia per il contrasto del fenomeno. I risultati delle attività di indagine e degli approfondimenti scientifici sono costantemente esaminati nell’ambito del Comitato Fitosanitario Nazionale per delineare le più opportune strategie integrate di intervento e prevenzione da attuare sul territorio nazionale.

"Nella prossima riunione di settembre – conclude il Sottosegretario alle Politiche Agricole – saranno esaminati gli ultimi aggiornamenti e verrà istituito uno specifico Gruppo di lavoro tecnico-scientifico al fine di coordinare le attività di ricerca, definire le linee guida per la gestione della problematica, sulla base dei risultati emersi, e verificare le condizioni per individuare eventuali interventi mirati sul settore”.

In Italia vengono prodotti oltre 5 milioni di quintali di kiwi con, secondo dati Istati 2020, oltre 25mila ettari dedicati.  Di questi, 9.500 nel solo Lazio, a cui segue l’Emilia-Romagna con 4.290, il Piemonte con 3.800 e il Veneto con più di 3.000 ettari. Alcune stime delle associazioni di produttori ritengono che la cosiddetta moria del kiwi porti alla perdita del 15-20% delle piantagioni esistenti e sta comportando danni ingenti all’economia nazionale.

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