La Superlega europea di calcio e i paradossi delle società in rosso, spiegati facilmente
Per quale motivo il mercato è destinato a fallire nello sport professionistico? Ciò è imputabile ad alcune peculiarità che caratterizzano questo settore e lo distinguono da qualsiasi altro contesto economico dove le normali leggi di mercato funzionano. Volete un esempio? Più il competitor è forte, più il prodotto realizzato vale
Il progetto della Superlega europea di calcio è stato al centro dell’attenzione mediatica di tutto il mondo suscitando molte reazioni, anche contrastanti, tra tifosi e addetti ai lavori. A distanza di un paio di settimane dal “golpe” tentato da questi club, il tentativo di mettere in piedi la Superlega non sembra ancora del tutto archiviato.
L’iniziativa portata avanti da 12 club tra i più importanti in Europa ha trovato, tuttavia, più detrattori che sostenitori costringendo le stesse società sportive a fare marcia indietro nel giro di pochissimi giorni.
A schierarsi apertamente contro la Superlega sono stati addirittura i premier dei principali Paesi del vecchio continente, tra i quali lo stesso Draghi, Macron e Boris Johnson con una unitarietà di intenti che difficilmente si è avuto modo di riscontrare in passato. E questo consente di capire che non si tratta solamente di un problema circoscritto al mero ambito sportivo, ma assume anche una rilevanza economica e sociale di tutto rilievo. Economica per le enormi cifre che girano attorno al calcio; sociale perché coinvolge centinaia di milioni di tifosi e di cittadini europei.
Proviamo a svolgere qualche riflessione che vada oltre alle normali “chiacchiere da bar”.
In primo luogo, possiamo chiederci se i Presidenti dei club della Superlega hanno agito bene e correttamente nell’ambito del loro mandato. Non dobbiamo dimenticare che le società sportive professionistiche, a seguito di una importante riforma normativa del 1996, rappresentano imprese vere e proprie con finalità di lucro. Se ci poniamo nella prospettiva degli azionisti che questi Presidenti rappresentano non c’è dubbio che l’istituzione di una Superlega avrebbe portato ad un incremento del valore economico delle rispettive società.
La Superlega, infatti, rappresenta(va) una libera iniziativa economica privata compiuta da imprese che operano in un determinato mercato. Da questa prospettiva risulta davvero difficile biasimare questi Presidenti. Come noto, le ragioni sottostanti all’avvio di questa nuova competizione erano prettamente economiche, con la concreta possibilità di garantire un raddoppio dei fatturati nel giro di pochissimo tempo per tutte le società coinvolte.
Non solo, la Superlega avrebbe consentito di tamponare una situazione finanziaria particolarmente critica – che si è ulteriormente aggravata negli ultimi tempi a causa degli effetti indotti dalla crisi sanitaria. Per questi 12 club i debiti complessivi iscritti a bilancio superano i 5 miliardi di euro, un importo che stende seri dubbi sulla sostenibilità futura dell’intero movimento calcistico europeo.
E questo pone le premesse per una seconda riflessione. Una delle domande più frequenti tra gli appassionati del pallone (e non solo) riguarda le ragioni per le quali le società di calcio sono sistematicamente in perdita nonostante l’enorme giro di affari che generano. La risposta è riconducibile ad un aspetto che negli studi economici si definisce “fallimento del mercato”.
Il calcio professionistico italiano presenta un saldo sistematicamente in rosso tra ricavi e costi. La Superlega, in fondo, rappresenta una soluzione volta a garantire un maggior afflusso di risorse per iniziare a “tamponare” le falle presenti nei conti di queste società, ingigantite dalle ripercussioni legate al Covid. Uno dei luoghi comuni utilizzati per giustificare l’impossibilità di generare valore è storicamente riconducibile alla presenza nel settore di un management poco competente e improvvisato.
Questa tesi, tuttavia, è davvero difficile da sostenere. Con i miliardi di euro che girano attorno al calcio, i meccanismi di autoregolazione del mercato avrebbero già generato una naturale attrazione nel settore dei manager più preparati, in grado di portare queste imprese in utile, se fosse solo questione di carenza di professionalità.
Altro luogo comune è che le perdite di questi club siano imputabili all’elevato costo del lavoro legato all’acquisto e all’impiego dei calciatori. Certo, è un dato di fatto che la principale voce di costo per queste società è quella degli stipendi pagati ai calciatori. Tuttavia, c’è da chiedersi per quale motivo le società, da oltre sessanta anni, non siano mai riuscite a generare utili e non abbiano mai avviato un cambiamento di rotta. Anche in questo caso, se le ordinarie leggi di mercato trovassero applicazione, la domanda e l’offerta dei calciatori tenderebbe verso un punto di equilibrio con una progressiva riduzione delle perdite.
A ben vedere, da quando il rapporto di lavoro dello sportivo professionista si è liberalizzato – a seguito dell’eliminazione dei vincoli imposti dalla sentenza Bosman – il costo dei calciatori è addirittura esploso. Solo a seguito dei vincoli imposti dal Fair Play Finanziario, utilizzando meccanismi impositivi e non di mercato, si è notato un importante miglioramento nei conti dei club professionistici. Il parziale contenimento degli stipendi è andato, però a scapito dell’equilibrio competitivo, portando a un aumento della concentrazione delle risorse a favore dei club più ricchi e più grandi, incrementando il divario tra i club più ricchi e quelli di minori dimensioni.
Ma per quale motivo il mercato è destinato a fallire nello sport professionistico? Ciò è imputabile ad alcune peculiarità che caratterizzano questo settore e lo distinguono da qualsiasi altro contesto economico dove le normali leggi di mercato funzionano. Portiamo qualche esempio facilmente comprensibile. Il prodotto realizzato da una società sportiva è “la partita”. Si tratta di un prodotto realizzato congiuntamente con il proprio “concorrente”. Senza di questo, non sarebbe possibile realizzare l’evento sportivo. In un normale settore industriale il concorrente riduce la penetrazione di mercato di un’impresa. Meno concorrenti sono presenti in un settore, più attrattivo è il medesimo, tant’è che la massimizzazione dei profitti si ottiene in condizioni di monopolio. Nello sport, invece, ho bisogno dei concorrenti per svolgere un’attività economica.
Da qui discende un altro paradosso di mercato: più il competitor è forte e più il prodotto realizzato vale. Non c’è dubbio che Real Madrid – Juventus valga molto di più di Crotone – Benevento. In un normale settore industriale, vale esattamente il contrario: per una qualsiasi impresa più il concorrente è forte e più sarà difficile inserirsi e competere. Questi sono solo alcuni esempi delle “peculiarità” che distinguono questo settore dagli altri business in cui operano normalmente le imprese.
Per tale ragione, e ci avviamo a concludere, se si lascerà il governo dello sport in balia delle normali regole di mercato sarà inevitabile che le partite che coinvolgono club “minori” e con meno seguito tenderanno a sparire a causa del loro minore “valore economico”. L’equilibrio in questo settore, senza correttivi di mercato, porterebbe ad una naturale selezione delle squadre più forti economicamente e con maggiore seguito, tipica dei meccanismi di mercato.
Per questa ragione è quanto mai urgente e opportuno che le principali istituzioni europee, politiche e sportive, intervengano per riconoscere una specificità allo sport, e l’identificazione di condizioni di funzionamento che vadano fuori dalle normali regole di mercato. Ne va del suo futuro se si condivide il pensiero che la sopravvivenza dei club di minori dimensioni costituisca una ricchezza economica e sociale da tutelare. È piuttosto emblematico che proprio negli USA, patria del libero mercato, i principali campionati professionistici siano assoggettati a sistemi e meccanismi di regolazione che vanno in direzione esattamente opposta a quelli di mercato.
Equa distribuzione delle risorse, tetto di stipendi e, per chi sfora, pagamento di una luxury tax a favore delle altre squadre, sono solo alcuni esempi di meccanismi che consentono di garantire campionati equilibrati, costi sotto controllo e società sistematicamente in utile. Se non si metterà mano, e anche celermente, alle regole che disciplinano questo settore, riconoscendone una propria specificità, il tentativo di lanciare una nuova Superlega sarà solo questione di tempo. Con l’unica differenza che il prossimo tentativo potrebbe anche andare a buon fine.
*Direttore Master SBS (Strategie per il Business dello Sport) Università Ca’ Foscari Venezia
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