L'addio di tanti giovani è una ferita che si allarga a Nordest

La fuga dei cervelli è un sintomo evidente di perdita di competitività dei territori. Ogni anno se ne vanno all'estero quasi 33 mila nordestini, tra cui molti giovani che scelgono le università lombarde o emiliane
Boy looking out at mountain valley landscape from balcony, rear view, Piani Resinelli, Lombardy, Italy
Boy looking out at mountain valley landscape from balcony, rear view, Piani Resinelli, Lombardy, Italy

I numeri, sciorinati uno dopo l’altro, sono forma e contenuto di un fenomeno che, per dimensioni, non può più essere considerato tale, ma che è pura realtà. Sono i tanti, tantissimi che decidono di abbandonare il Nord-Est per cercare fortuna all’estero. I ragazzi che studiano al Liceo e all'Università, i giovani che decidono di inserirsi nel mondo del lavoro oltre i confini nazionali, i non più giovani che, con l’esperienza di un primo impiego sottopagato, decidono di prendere un biglietto di sola andata verso un Paese straniero, dove vedere i propri studi finalmente gratificati.

Lo spiegano i numeri, appunto: nel 2019 le nuove iscrizioni all’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) da parte di cittadini del Nord-Est sono state 32.880, di cui 18.618 dal Veneto (la seconda regione più interessata dal fenomeno, alle spalle della Lombardia), 8.565 dal Friuli-Venezia Giulia e 5.697 dal Trentino-Alto Adige. Fino a completare il quadro di 430.678 veneti, 184.119 friulani e 108.187 trentini che vivono all’estero, come certifica l’ultimo rapporto di italiani nel mondo.

Cifre a cui aggiungere i 10 mila che, ogni anno, decidono di trascorrere un semestre o un intero anno in un Paese straniero, partendo con il progetto Erasmus. Ma sono i dati definitivi quelli che preoccupano. Ufficializzazione di un fenomeno che sta conoscendo una crescita verticale: basti pensare che nel 2002 i veneti stabilitisi oltre i confini nazionali erano appena 2 mila, più che sestuplicati in poco più di 15 anni.

Con Treviso e Vicenza che si collocano, rispettivamente, al quarto e al settimo posto delle province italiane dal maggior flusso verso l’estero. Ma chi sono i cittadini del Nord-Est che decidono di espatriare? E quali sono le ragioni che li spingono a lasciare famiglie e amicizie per un salto che, per quanto affascinante, rimane un salto nel vuoto?

I primi numeri di un certo peso si individuano tra gli universitari. Categoria che, tuttavia, prima di varcare i confini nazionali, preferisce cercare fortuna in Italia, magari bussando alla porta del vicino di casa. Lo spiegano bene i dati del Miur: i 2.817 studenti veneti (su 22.530) immatricolatisi nelle università emiliane nell’anno accademico 2018-2019; i 641 trentini (su 3.353) iscrittisi in Veneto e i 445 in Emilia; i 757 friulani (su 5.380) negli atenei veneti e i 242 in quelli lombardi. E un saldo che, per le nostre regioni, è tutto negativo. Basti pensare al rapporto con il nostro maggiore competitor, l’Emilia Romagna, nelle cui Università ogni anno si iscrivono 3.504 ragazzi provenienti dal Nord-Est, con una “restituzione” di appena 432 studenti: 313 in Veneto, 90 in Trentino e appena 29 in Friuli.

Ma il saldo tra “In” e “Out” preoccupa soprattutto guardando chi lascia e chi torna in Italia subito dopo la Laurea, con cifre che certificano la poca appetibilità delle nostre aziende. Se, nel 2018, in Lombardia (+12 su mille) e soprattutto in Emilia (+16.2 su mille) il saldo era tutto a favore di chi decideva di rientrare, le cifre venete, pur in progressivo miglioramento, sono la dimostrazione di un mercato regionale che è ancora poco appetibile per i nostri ragazzi, con un saldo passato dal -4.6 su mille del 2016 al -2.3 su mille nel 2018, come certifica uno studio di Assindustria Venetocentro, Ca’ Foscari e Iuav.

Questo nonostante l’alto tasso di occupazione post universitario, con l’89.5% dei laureati veneti che trova lavoro entro i cinque anni dal titolo magistrale (contro la media nazionale dell’85.%) e l’80% entro il primo anno dalla triennale (contro il 72% italiano). Ma il problema, come sempre, è lo stipendio. Del totale dei 32.880 “expat” dal Nord-Est nel 2019, è poco più del 20% a possedere un titolo di Laurea.

Sono loro i veri cervelli in fuga, come si usa dire con un’espressione da anni entrata nel linguaggio quotidiano. La schiera di ex ragazzi che in Italia ha studiato, laureandosi, magari iscrivendosi a Master, dottorati di ricerca. Un iter pressoché infinito fatto di tomi e belle soddisfazioni, quasi sempre inversamente proporzionali al conto in banca. Ed ecco quindi che, del totale dei trasferimenti all’estero dal Nord-Est nell'ultimo quinquennio, esattamente la metà di questi nuovi migranti ha meno di 35 anni, con la principale fascia di età che va dai 26 ai 35 anni.

Il fenomeno interessa indistintamente l'intera area del Nord-Est e dare una spiegazione appare piuttosto semplice. Secondo un’indagine di Job pricing, nella classifica nazionale della retribuzione annua lorda dei dirigenti, nessuna delle tre regioni rientra nella “top five” nazionale. Per scalare posizioni bisogna esplorare altri profili: i quadri, dove il Veneto è terzo (54.788 euro all’anno), gli impiegati, dove il Trentino è quarto (31.337 euro all’anno) o gli operai, dove il Trentino è addirittura primo (26.634 euro all’anno). Difficilmente, soprattutto le ultime due, posizioni che i giovani " cervelli" cercano oltre i confini nazionali.

E infatti è proprio qui che emerge il gap tra le nostre Università e altri atenei italiani. Lo dimostra la retribuzione media dei laureati tra i 25 e i 34 anni nei primi 10 anni dal conseguimento del titolo: 35.081 euro alla Bocconi, contro i 31.208 di Padova, comunque l’Università del Nord-Est più alta in classifica. Ma, ancor meglio, lo dimostrano gli impieghi "post lauream".

Tra tutti i laureati negli atenei di Trento, Udine e Verona, ammonta ad appena il 5% il totale di chi, nel corso della carriera, riesce a ottenere un posto da dirigente; la situazione è leggermente migliore a Venezia (8%), a Trieste e a Padova (9%). Ma la realtà è che la maggior parte dei neolaureati dei nostri atenei va a infoltire la categoria degli impiegati, con la vetta (l’82%) raggiunta dall’ateneo scaligero. E allora ecco i ragazzi partire con un biglietto di sola andata per l’estero. Biglietto che, rileva l’Aire, negli ultimi cinque anni ha avuto come destinazione il 68% delle volte un Paese europeo, il 24% l’America.

Al primo posto delle preferenze degli under 35 si trova il Regno Unito, seguito da Francia e Germania, ma piano iniziano a intravedersi anche le mete più lontane: gli Stati Uniti, certo, ma anche la Cina e il Sud Africa.

È diverso per gli over 50, quasi sempre mossi dal desiderio di trovare tranquillità in un Paese straniero, magari con spese più sostenibili: al primo posto delle loro preferenze c’è il Brasile, che rimane stabile alla vetta della classifica con il maggior numero di veneti (123.170), seguito da Argentina (47.136) e Svizzera (44.154). È il variegato mondo degli "expat": chi se ne va per stare meglio, chi per non stare peggio.

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