Lavoro: cresce l’occupazione femminile, ma non i salari

Dal 2008 l'occupazione femminile è cresciuta in Veneto più di quella maschile. Lo rileva la Cgil. In 10 anni le dipendenti pubbliche e private sono salite di 62.695 unità, (35.865 gli uomini): una differenza che risulta ancor più marcata se si restringe ai soli contratti a tempo indeterminato dove le donne salgono di 48.640 posizioni mentre i maschi calano a -2.700 unità

VENEZIA. Dal 2008 l'occupazione femminile è cresciuta in Veneto più di quella maschile. Lo rileva la Cgil. In 10 anni le dipendenti pubbliche e private sono salite di 62.695 unità, (35.865 gli uomini): una differenza che risulta ancor più marcata se si restringe ai soli contratti a tempo indeterminato dove le donne salgono di 48.640 posizioni mentre i maschi calano a -2.700 unità.

Ma non c'è stato un miglioramento poiché la condizione lavorativa peggiora sia per qualità che per salario: le donne restano segregate in retribuzioni basse. Nel Veneto il gap retributivo tra uomini e donne è del 35%, frutto di una differenza (tra i dipendenti del settore privato) di 9.186 euro tra i 26.294 euro presi mediamente dagli uomini ed i 17.108 delle donne. Il 47,28% delle occupate prende meno di 15.000 euro annui (900 mensili netti) e di queste i due terzi non superano i 10.000 euro (667 netti mensili). Tra gli uomini la percentuale di chi prende meno di 15.000 euro annui si riduce al 24,32%.

Sostanziale la differenza, anche se si esaminano le classi di reddito più affollate che tra i lavoratori maschi risultano essere quelle tra i 20.000 ed i 35.000 euro mentre per le donne vanno dai 15.000 ai 25.000 euro. Sopra ai 30.000 euro c'è solo il 10,69% delle donne (contro il 30,09% dei maschi) e di queste solo il 4% supera i 40.000 euro (13,54% tra i maschi), mentre a livelli dirigenziali le donne sono allo zero virgola.

Inoltre, la condizione lavorativa delle donne è peggiorata rispetto a 10 anni fa, nonostante l'aumento dell'età delle occupate che evidentemente non ha comportato significativi avanzamenti nelle carriere o condizioni lavorative più vantaggiose. Se nel 2008 le donne che avevano un lavoro pieno, retribuito per 52 settimane, erano il 64% delle dipendenti, oggi sono solo il 55%, ingabbiate tra stagionalità, contratti week end, lavoro discontinuo.

 In contemporanea sale il part time: oggi il 48% contro il 39% del 2008. Questo si è esteso tra le più giovani (27% nel 2008, 41% oggi) e le più anziane (dal 47% al 51%) che, anche oltre i 50 anni, restano intrappolate in questa modalità mantenendosi ai livelli massimi di part time rispetto a tutte le altre fasce d'età, comprese quelle legate agli anni della maternità che sono al 41%. La crescita dei rapporti a tempo parziale specie tra le classi di età più estreme (quelle in cui vi sono meno vincoli familiari) evidenzia il fatto che per buona parte si tratta di part time involontario: una modalità che riguarda principalmente la componente femminile (tra i maschi il part time coinvolge meno del 10% degli addetti). Si innalza l'età delle lavoratrici, anche in conseguenza di un mercato del lavoro irrigidito dagli anni della crisi e degli effetti di leggi (Fornero e non solo) che non favoriscono il ricambio generazionale. Si assottiglia la presenza delle donne sotto i 30 anni (27% nel 2008, 21% oggi) ed ancor più quelle nella fascia di età tra i 30 ed i 40 anni (da 35% a 25%), mentre le lavoratrici con più di 40 anni sono il 54% del totale (38% nel 2008).

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