Dalla Zanussi a Electrolux, la “fabbrica” dei manager

Imprenditori o manager? Per Lino Zanussi che trasformò l’aziendina fondata dal padre in un colosso dell’elettrodomestico, la verità stava nella congiunzione: imprenditori “e” manager. Il giusto mix, in sostanza, tra le competenze - di cui Lino aveva grande rispetto - e capacità e onere di assumere decisioni.
Una filosofia che ha permeato la Zanussi anche negli anni successivi alla scomparsa di Lino, tanto che l’azienda pordenonese è stata fucina di manager - oltre che di imprenditori - che ha esportato in aziende, italiane e non. Ed è stata tra i fondatori del Cuoa, la prima scuola di manager nordestina, oltre ad aver avviato e mantenuto rapporti con le Università.
Negli anni in cui i master in business administration dovevano ancora essere inventati, la grande azienda era “la” scuola per eccellenza. E di laureati sul campo la Zanussi ne aveva importati, da Fiat e Olivetti, tanto per citare altre due aziende che hanno fatto la storia dell’industria italiana, e ne aveva formati.
Dopo la crisi che portò la Zanussi sull’orlo del baratro e l’acquisizione da parte di Electrolux, fu a Gianmario Rossignolo, amico di Gianni Agnelli, un passato in Fiat, che gli svedesi affidarono la presidenza del gruppo. E sotto la guida dell’imprenditore torinese, con Carlo Verricome Ad e Luigi De Puppi come Cfo, la Zanussi non solo uscì dalla crisi ma divenne leader mondiale dell’elettrodomestico.

Merito anche della sapiente gestione delle risorse umane di Maurizio Castro, inventore del sistema partecipativo che è stato un modello nelle relazioni industriali italiane, di Aldo Burello, che fu Ad del “bianco”, di Gianfranco Zoppas, Ad della allora Zanussi Grandi Impianti (poi Electrolux Professional), di Leonello Verduzio, alla guida della componentistica, e quindi motori e compressori, di Dario Covre, amministrazione e personale.
«C’è stata una positiva contaminazione di cultura in Zanussi in quegli anni - ricorda Luigi De Puppi - grazie alle persone. L’azienda aveva una cultura industriale unica in pressoché tutti i segmenti dell’elettrodomestico, che Electrolux non possedeva, gli svedesi una competenza sui mercati internazionali». Il “Think global, act local” diventa la bussola del Gruppo.
Accadde poi che la multinazionale finì con il perdere quella bussola, in ossequio ad altre vision portate in Electrolux da Michael Treschow, subito ribattezzato “la lama”, che spostò dall’Italia a Bruxelles la “testa” del Gruppo - complice anche le difficoltà del fare impresa in Italia, definito da sempre un Paese “complicato” -, optò per la concentrazione sul core business della produzione di elettrodomestici vendendo tutto ciò che non era “core”, dalle macchine per la distribuzione di caffè e bevande alla componentistica, a cui seguirono i processi di delocalizzazione nei Paesi a basso costo e la decentralizzazione dei processi decisionali.

Quell’unicum di competenze nel “bianco” nato e cresciuto a Pordenone, finì con l’essere smantellato. Ma i manager formati nel territorio, quelli no, non sono scomparsi. A loro va il merito di aver fatto nascere, ad esempio, il distretto della plastica di Oderzo, e di aver contribuito alla crescita di imprese sorte per gemmazione dalla Zanussi, e poi diventate grandi.
«Zanussi prima ed Electrolux poi sono state tra le poche aziende del Nordest storicamente managerializzate» rimarca Paolo Candotti, che vi entrò subito dopo la laurea per poi passare ad altre aziende come Fiamm, alla direzione generale di Confindustria Pordenone e, ora, nel ruolo di Ad di Marine Interiors, «Venni assunto negli anni novanta, eravamo una “pattuglia” di una quindicina di laureati, che vennero indirizzati verso un ben preciso percorso - racconta -: prima la produzione, poi l’assistenza tecnica, quindi al marketing e controllo di gestione. E solo alla fine di un anno che ci fece conoscere profondamente l’azienda, ognuno di noi venne destinato al proprio settore di competenza».
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