Fra eccezioni e paletti, la pensione a 64 anni è un’opportunità per pochi

La relazione tecnica evidenzia come la platea degli interessati dalla modifica inizialmente possa fermarsi a un centinaio di persone l’anno. Ma c’è l’ipotesi dell’allargamento ai lavoratori con sistema misto

Riccardo de Toma
Smettere di lavorare a 64 anni è un traguardo per pochi
Smettere di lavorare a 64 anni è un traguardo per pochi

Anticipo pensionistico a 64 anni più facile grazie all’apporto della previdenza privata? La ratio della norma era questa, ma basta un rapido approfondimento per comprendere che la misura riguarderà pochi intimi.

I numeri sono addirittura da lotteria, come dimostrano le previsioni di spesa del Governo: la misura non costerà nulla nel 2025, anche perché il varo richiederà l’approvazione di un decreto attuativo non semplice, 500 mila euro nel 2026 e meno di un milione nel 2026, per salire progressivamente fino a 5 milioni nel 2034.

L’anticipo

Tecnicamente, la norma introdotta dall’ultima legge di bilancio (articolo 1, commi 181-185) modifica i criteri di accesso all’anticipo pensionistico previsto per chi ha compiuto i 64 anni di età. La legge già in vigore, che si applica esclusivamente alle pensioni calcolate interamente con il metodo contributivo, prevede le possibilità di accedere alla pensione anticipata in presenza, oltre che del requisito dei 64 anni di età, anche di un’anzianità contributiva di 20 anni.

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Non solo: un ulteriore paletto è legato all’importo della pensione risultante, che secondo la norma di partenza deve essere pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (534,41 euro al mese). In virtù delle modifiche introdotte dalla Finanziaria 2025, nel calcolo della pensione risultante può entrare anche la rendita mensile legata ad eventuali pensioni integrative, facilitando così il raggiungimento della soglia minima.

A parziale compensazione, sono stati anche introdotti due correttivi che penalizzano chi esercita questa opzione: l’importo minimo della pensione dovrà essere pari ad almeno tre volte (anziché 2,8 volte) l’assegno sociale (quindi di almeno 1.623,23 euro) e l’anzianità contributiva di almeno 25 anni anziché venti com’era in precedenza.

Per pochi intimi

Davvero tanti paletti per una misura già molto poco utilizzata, dal momento che l’importo minimo non è facile da raggiungere, a fronte di anzianità contributive di 20 o 25 anni. La montagna o presunta tale, come spesso avviene, ha partorito il topolino, come si legge del resto anche nella relazione tecnica alla legge di bilancio. «Tenuto conto della specificità dei soggetti in esame, della concomitanza per i soggetti a basso reddito della maturazione al diritto dei trattamenti pensionistici di natura assistenziale e delle integrazioni e del contenuto importo del valore soglia, viene valutata in termini contenuti la numerosità di soggetti interessati, dell’ordine di un centinaio all’inizio del periodo per crescere gradualmente a circa 600 annui alla fine del decennio per un anticipo medio di circa un anno».

Non basta: a partire dal 2030 la soglia contributiva verrà ulteriormente innalzata, salendo da 25 a 30 anni. La misura, quindi, non sposta di una virgola gli attuali assetti previdenziali, a meno che non vada solo considerata una sperimentazione in vista dell’ipotesi, ventilata dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, di una sua estensione ai lavoratori con sistema pensionistico misto, in possesso cioè anche di contributi precedenti il 1996. Se così fosse, la platea stimata salirebbe a circa 80mila persone. 

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