Lavoro nero, giro d’affari da 5,7 miliardi tra Veneto e Fvg

La stima dell’Ufficio studi della Cgia che indica in circa 250 mila le persone coinvolte dall’economia sommersa nelle due regioni, oltre l’8% il tasso di irregolarità

«Ammonta a 4,6 miliardi di euro il volume d’affari annuo riconducibile al lavoro irregolare presente in Veneto. Se questo importo lo rapportiamo al valore aggiunto totale regionale, la quota è pari al 3,1 per cento. In Friuli Venezia Giulia il volume d’affari riconducibile sempre al lavoro irregolare è di 1,1 miliardi, corrispondente ad una quota del 3,2%. Insieme le due regioni cumulano 5,7 miliardi. Tra tutte le regioni d’Italia solo la Lombardia presenta un’incidenza inferiore a Veneto ed Fvg. Questo vuol dire che il peso del “nero” nelle due regioni del Nord Est è molto contenuto. Nonostante ciò, questa piaga sociale deve essere monitorata costantemente e contrastata ovunque essa si annidi».

E, ancora, «le persone coinvolte dall’economia sommersa in Veneto sono stimate in 185.400 unità, pari al 6,5 per cento del totale nazionale; in Fvg si siamo in 46.400 unità, pari all’1,6 per cento del totale nazionale. In termini assoluti l’esercito dei lavoratori invisibili è importante anche se, ovviamente, si ridimensiona quando lo rapportiamo al numero degli occupati. Infatti, il tasso di irregolarità del Veneto è all’8,1 per cento, in Fvg  all’8,6 per cento (record positivo per la Provincia Autonoma di Bolzano che si ferna al 7,9 per cento). Pur non essendoci dati a livello regionale, siamo in grado di stimare con buona approssimazione che anche in Veneto ed Fvg i settori dove si concentra il maggior numero di lavoratori irregolari sono i servizi alla persona (colf e badanti), l’agricoltura, le costruzioni e il settore ricettivo».

Quelli appena richiamati sono alcuni flash emersi da un’analisi condotta dall’Ufficio studi della CGIA.

Economia in nero al top in Calabria, Campania e Sicilia

Il valore aggiunto prodotto nel 2021 dal lavoro irregolare in Italia è stato pari a 68 miliardi di euro, di cui 23,7 miliardi nel Mezzogiorno, 17,3 nel Nordovest, 14,5 nel Centro e 12,4 nel Nordest. Se misuriamo l’incidenza percentuale di questo ammontare sul valore aggiunto totale regionale, la quota più elevata, pari all’8,3 per cento, interessa la Calabria. Seguono la Campania con il 6,9 per cento, la Sicilia con il 6,6 per cento e la Puglia con il 6,2 per cento. La media nazionale è del 4,2 per cento. Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall’Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. Se calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6 per cento. Seguono la Campania con il 16,5 per cento e la Sicilia con il 16 per cento. Il dato medio Italia è dell’11,3 per cento.

Tanto lavoro nero è diventato lavoro forzato

Dopo la crisi economica provocata dalla pandemia, in alcune aree del paese pezzi importanti dell’economia sono passati sotto il controllo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che agli imponenti investimenti economici hanno affiancato l’uso della violenza, delle minacce e del sequestro dei documenti per “conquistare” il favore di ampie masse di lavoratori, soprattutto stranieri. L’applicazione di queste coercizioni ha trasformato tante sacche di economia sommersa in lavoro forzato, facendo scivolare all’interno di questo girone infernale anche molti italiani che si trovavano in condizioni di vulnerabilità.

Caporalato e agroalimentare

Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato. Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza. Ad essere sfruttati sono i più fragili, come le persone in condizione di estrema povertà, gli immigrati e le donne. Il comparto maggiormente investito da questa piaga sociale ed economica è sicuramente l’agricoltura. Lo sfruttamento della manodopera in questo settore è riconducibile alla presenza simultanea di queste criticità:

l’uso massiccio della forza lavoro per brevi periodi e in luoghi isolati, che spesso portano alla creazione di insediamenti abitativi informali;

le condizioni inadeguate sia dei servizi di trasporto che di alloggio;

lo status giuridico precario o irregolare di diversi lavoratori migranti.

Fenomeni di caporalato ai danni degli immigrati sono presenti da moltissimi decenni nell’Agro Pontino (LT), nell’Agro nocerino-sarnese (SA), a Villa Literno (CE), nell’area della Capitanata (FG) e nella Piana di Gioia Tauro (RC). Senza contare che da almeno venti anni decine e decine di casi sono stati scoperti e perseguiti dalle forze dell’ordine anche nelle aree agricole del Nordest.

Stop al monopolio di pochi grandi

La tragedia che si è consumata la settimana scorsa nelle campagne dell’Agro Pontino è sicuramente figlia dello sfruttamento e delle pratiche schiavistiche praticate dagli imprenditori agricoli di quella zona.

Sfruttando lo status irregolare dei migranti, gli imprenditori coinvolgono i lavoratori senza garantire contratti regolari, pagando salari bassi e innescando una serie di problemi legati all’ alloggio, ai trasporti e ai servizi sociali. Tuttavia non va dimenticato che spesso queste condotte criminali sono indotte, non solo al Sud, dalla struttura del mercato agroalimentare che, spesso, è monopolizzata da poche imprese della grande distribuzione che continuano a spremere i piccoli agricoltori, che per rimanere sul mercato sono costretti a ridurre gli stipendi della manodopera, alimentando così ancor più il sistema del caporalato. Nonostante l’Italia abbia recepito la direttiva UE contro le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, la grande distribuzione continua a mantenere i listini fermi nonostante i rincari, mettendo in grave difficoltà tanti piccoli produttori. Ricordiamo, infine, che la legislazione italiana appena richiamata ha escluso dal campo di applicazione i conferimenti dei soci nelle cooperative e le cessioni di prodotti agricoli e alimentari alle organizzazioni di produttori. Questo vuol dire che chi trasferisce le sue derrate alla cooperativa o all’organizzazione dei produttori non può contare sulle tutele previste dalla legge rispetto ai tempi di pagamento e contro le vendite sottocosto. Quindi, oltre a modificare la legge nazionale includendo anche questi soggetti tra coloro che non possono tenere pratiche commerciali sleali, bisogna incentivare l’attività ispettiva, garantendo, nel contempo, un forte aumento degli investimenti pubblici nel settore del trasporto e soluzioni abitative temporanee che consentano a queste persone una vita dignitosa.

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