I ricchi stipendi dei giovani espatriati: «Il 56% ha un tenore di vita elevato»

L’indagine della Fondazione Nord Est su chi ha scelto di trasferirsi all’estero per lavorare o studiare: «Quasi la metà è impiegata in quelle attività per le quali le imprese italiane non trovano candidati»

Nicola Brillo

Tenore di vita “elevato”, fiducia in se stessi, nove su dieci dipendenti. È questo l’identikit dei giovani partiti dall'Italia che ora lavorano all’estero, secondo l’indagine di Fondazione Nord Est. Nel periodo 2011-2023 ben 550.000 ragazzi e ragazze sono espatriati dal nostro Paese e al netto dei rientri la cifra scende a 377.000 unità.

Secondo l’indagine della Fondazione, i giovani che espatriano sono più ottimisti e solo il 7,4% ritiene di avere un tenore di vita inferiore alla media dei coetanei, mentre ben il 56% definirebbe il suo tenore di vita alto (contro meno di uno su quattro tra i giovani residenti nel Nord Italia), il 7,1% basso, il 36,7% nella media e solo lo 0,3% non sa valutarlo.

All’estero solo uno su otto risiede con i genitori (rispetto al quasi 50% dei residenti). «Un giovane su cinque è all’estero per studiare, tre su quattro lavorano, mentre solo il 3,5% degli intervistati dichiara di essere senza un impiego» scrivono nella nota Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior, e Luca Paolazzi, direttore scientifico di Fondazione Nord Est «tra i lavoratori dipendenti quasi la metà è impiegata in quelle attività (operaio specializzato e semi-specializzato, impiego senza qualifica, tecnici, impiegati qualificati nei servizi) per le quali le imprese italiane non trovano candidati».

Riguardo alla sistemazione, il 33,5% vive con altri tra studenti, colleghi, coinquilini, e più o meno la stessa quota vive con la propria famiglia, compagna e figli, mentre c'è un divario enorme tra i giovani che restano in Italia e quelli che vivono all'estero sul fronte della condivisione della casa con la famiglia di origine: all’estero solo un giovane su otto risiede con i genitori, rispetto al quasi 50% dei residenti nel nostro Paese.

E oltre il 21% dei giovani vive all'estero da solo. Rispetto ai motivi per cui si risiede all'estero, un giovane su cinque lo sta facendo per studiare, tre su quattro per lavoro, il 4% ha un’occupazione discontinua. Frequentano un corso universitario, un master, un corso post universitario o hanno una borsa di studio il 19% dei giovani. Tra gli occupati, solo nel 5% dei casi sono autonomi o imprenditori.

E nello studio si sottolinea come tra i lavoratori dipendenti, quasi la metà è impiegata come operaio specializzato e semi-specializzato, oppure ha un impiego senza qualifica, tecnici e impiegati qualificati nei servizi. I dirigenti sono il 6% e quelli che svolgono una professione intellettuale sono il 13%. La maggioranza sono impiegati, più di 3 su 10, seguono i servizi e le professioni tecniche pari merito (14%). Ma una quota significativa è rappresentata da operai specializzati (12%).

Mentre svolge una professione non qualificata il 5%. Nei prossimi anni la situazione non sembra cambiare, con ripercussioni negative nel mondo del lavoro. Banca d’Italia stima che in Italia nel 2040 potrebbero esserci 5,4 milioni di persone in meno in età lavorativa, con una forza lavoro e un PIL in calo del 9%.

L’Area Studi Mediobanca ha pubblicato recentemente un approfondimento dal titolo “Gli impatti economici delle migrazioni: problema o risorsa?”, nel quale si sottolinea come le politiche di integrazione appaiono la strada obbligata per una piena valorizzazione del fenomeno migratorio. Esse richiedono però costi rilevanti. Se correttamente governata, la migrazione può portare un beneficio economico non solo contribuendo al contrasto dei trend demografici, ma anche favorendo lo sviluppo della produttività.

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