Le imprese di famiglia a Nordest sono meno vulnerabili delle altre

Le imprese familiari hanno fin qui resistito meglio della media alla crisi innescata dalla pandemia di Coronavirus. Il risultato, che emerge da uno studio del Credit Suisse Research Institute, è tutt’altro che scontato considerate le considerazioni frequenti che si fanno sui limiti di queste aziende in termini di solidità patrimoniale e qualità del management.
Nonostante l’impatto sulla crescita degli utili di quest’anno, precisa la ricerca, le imprese familiari intervistate considerano il Covid-19 leggermente meno preoccupante per le prospettive future dell’azienda rispetto alle altre aziende. Le prime hanno inoltre fatto minore ricorso ai congedi per il personale rispetto a quelle non familiari (46% contro 55%).
Guardando poi al lungo termine, negli ultimi tredici anni le imprese familiari hanno nel complesso avuto risultati migliori a quello delle imprese non familiari per quel che concerne gli indicatori relativi a fatturato e redditività. Assolutizzare questi risultati sarebbe errato, dato che nel novero delle aziende familiari rientrano anche veri e propri colossi che conservano la proprietà originaria, affiancata da una gestione manageriale avanzata, ma sono comunque indicativi della reazione alla congiuntura in atto.
Per quel che concerne il nostro Paese, un osservatorio privilegiato è quello realizzato dall’Università Bocconi in collaborazione con Aidaf (Associazione Italiana delle Aziende Familiari). Elaborando l’ultima edizione dello studio, relativa ai bilanci 2018, emergono profonde differenze tra le tre regioni che compongono il Triveneto quanto alla percentuale di realtà di famiglia, per proseguire con le modalità di composizione dei board. Risultati che riflettono le differenti ragioni di sviluppo dei territori nel corso dei decenni.
Partendo dallo scenario generale, l’indagine annuale rileva che in Italia ci sono quasi 17 mila aziende con un fatturato superiore ai 20 milioni di euro, di cui due terzi a gestione familiare. Dunque, anche se non si parla di microaziende (laddove la componente di proprietà legata al fondatore o ai suoi eredi arriva a sfiorare il 90%), resta la prevalenza della famiglia imprenditoriale.
Nel Triveneto – considerato nel suo insieme - l’incidenza è simile (69,9% contro il 30,1% di imprese non familiari), ma il dato sale al 74,3% considerando il solo Veneto e scende al 55,4% in Trentino Alto Adige, con il Friuli Venezia Giulia a metà strada (65,3%).
«Risultati che possono trovare una chiave di lettura nella storia differente di queste regioni, con il Veneto più delle altre da sempre caratterizzato da famiglie che mettono insieme una piccola realtà, che poi spesso cresce e diversifica il business negli anni», spiega Fabio Quarato, managing director della cattedra in Family Business all’Università Bocconi.
Quanto al Friuli Venezia Giulia, va considerato il peso importante di alcune multinazionali con un azionariato da tempo ampiamente diffuso e delle partecipate pubbliche (alla prima categoria appartiene Generali, alla seconda Fincantieri), mentre per il Trentino Alto Adige incide la vicinanza tanto geografica quanto culturale al modello tedesco, più orientato alla managerializzazione delle imprese e a una forma di public company dal punto di vista degli assetti azionari.
L’economista ha poi passato al setaccio le altre caratteristiche delle imprese familiari, isolando in particolare quelle con il quartier generale in Veneto, considerato che la regione vale tre quarti di tutte le imprese sopra i 20 milioni di fatturato dell’intera macroarea.
«Generalmente le aziende familiari della regione presentano performance economiche più elevate in termini di return on assets, mediamente più elevato del 10% negli ultimi cinque anni rispetto alla media nazionale del nostro osservatorio», sottolinea Quarato, in riferimento all’Osservatorio Aub, promosso da Aidaf (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), UniCredit, cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, Fondazione Angelini e Borsa Italiana.
È maggiore anche la solidità patrimoniale, valutata considerando il rapporto di indebitamento, calcolato come totale degli attivi rispetto ai mezzi propri. «Il risultato delle aziende venete è inferiore di circa il 25% rispetto alla media nazionale Aub». Dunque, complessivamente il quadro che emerge è quello di un’imprenditoria familiare regionale in salute. Cosa che fa ben sperare sia per la capacità di tenuta in una fase complicata per i commerci mondiali come quella attuale, sia sulla capacità di tornare a correre una volta che si sarà rischiarato l’orizzonte.
Un dato che preoccupa è tuttavia la limitata apertura alle componenti esterne che si registra all’interno dei consigli di amministrazione: il 51% delle aziende ha un cda composto esclusivamente da membri della famiglia contro il 45% della media nazionale dell’Osservatorio. Tirare conclusioni in proposito è sempre difficile, dato che l’Italia in generale, e il Triveneto in particolare, sono ricchi di aziende familiari gestite molto bene, come si è visto con i dati sopra citati.
Resta il fatto che l’apertura delle stanze dei bottoni a persone estranee al nucleo della famiglia imprenditoriale solitamente è un fattore di arricchimento per la stessa azienda perché consente di contaminarsi con nuovi punti di vista e altre professionalità, oltre a evitare che le dinamiche familiari vengano a incidere eccessivamente sulle ragioni del business. E proprio la diversità di vedute oggi è considerata dagli analisti una delle condizioni più importanti per poter aggiornare continuamente l’offerta di mercato alla luce dei mutamenti che interessano la domanda.
Lo studio Aidaf-Bocconi sottolinea, inoltre, che le imprese familiari venete sopra i 20 milioni di fatturato presentano una maggiore frequenza dei modelli di governo collegiali, vale a dire due o più amministratori delegati alla guida dell'azienda (il 53% contro il 37% della media nazionale dell'Osservatorio) e leader mediamente più anziani al vertice (il 28% ha più di 70 anni, contro il 24% della media nazionale dell'Osservatorio). Quest’ultimo è un punto che fa riflettere, considerato che la successione è spesso uno dei passaggi più complicati per la sopravvivenza di un’impresa.
Per completare il quadro, è possibile stilare una classifica delle prime aziende del Triveneto per fatturato. Prendendo in considerazione i bilanci del 2018, al primo posto senza sorprese c’è Edizione (holding della famiglia Benetton) con 13,6 miliardi di euro, davanti a Luxottica con 9,5 miliardi. Staccate tutte le altre, con Aia (famiglia Veronesi) a 3,4 miliardi, Danieli a 2,5 miliardi, Pam a 2,4 miliardi, con Calzedonia a 2,3. A due miliardi sono appaiate De’ Longhi e Maxi Di, seguite a breve distanza da Unicomm.
Riproduzione riservata © il Nord Est