L’economia di Castelfranco Veneto, l’analisi: «Evoluzione senza traumi l’industria sa trasformarsi»

Paolino Barbiero analizza i dati Infocamere sulle imprese di Castelfranco. «Crisi del metalmeccanico superate, niente disoccupazione. Ma manca il salto»
Fabio Poloni
Paolino Barbiero
Paolino Barbiero

«Una trasformazione virtuosa, a somma positiva, che non ha creato sacche di disoccupazione. Meglio di altre zone della provincia, senza dubbio. Però, a voler guardare anche l’altro lato della medaglia, quello castellano è un manifatturiero che non ha avuto un’esplosione di valore aggiunto importante, con ricadute sul reddito del territorio sotto forma di premi, incentivi, redistribuzione». Paolino Barbiero, nome storico del sindacalismo trevigiano – nei metalmeccanici Fiom prima, segretario generale provinciale Cgil poi e infine ai pensionati Spi – conosce come pochi l’evoluzione del territorio castellano. E la sua analisi la abbraccia dal punto di vista economico e sociale.

Nomi e numeri

«Punto di osservazione di partenza è il settore metalmeccanico, che è quello prevalente – sottolinea Barbiero – ma senza dimenticare l’agroindustria con Fraccaro e Pasta Zara. Nel metalmeccanico analizziamo i vent’anni dal 2003 al 2023 per le aziende più centrali per il territorio. La Fracarro Radioindustrie nel 2003 aveva 250 dipendenti e ora ne ha 50. Fram Filter, ex gruppo Fiat, aveva 130 dipendenti, ora è chiusa: facevano filtri e componentistica per auto, ora lì c’è un centro residenziale. Fraccaro Termotecnica è passata da 40 a 90 dipendenti, Faber Industries da 220 a 55 dipendenti, produzione di bombole per ossigeno. Berco Spa era tra le più grosse, da 540 è passata a 151 dipendenti: fa parte di Thyssenkrupp, producono componentistica per grandi macchine come gli scavatori. Poi c’è Smartest, oggi 140 dipendenti. Breton, andando verso comuni limitrofi, è cresciuta molto: aveva 330 dipendenti, ne ha 1.100, ha aperto uno stabilimento anche a Vedelago. Anche la ex Psm, Puntel, aveva 120 dipendenti e non esiste più. Simec Spa è passata da 90 a 160 dipendenti, Ecoflam da 140 – assorbita poi da Ariston – ora ne ha 180, ha investito in tecnologia. Poi F3 di Resana, fabbrica di vetro da imprenditori usciti da Murano, da 130 dipendenti ora chiusa, ma in quell’area c’è la Venix, Brofer e la Tubes, che hanno assorbito quasi tutta la parte occupazionale. Anche la Dallan è cresciuta, mentre la Stiga, ex Castelgarden, aveva oltre mille dipendenti nel 2003, ora 550».

La trasformazione

«La trasformazione di Castelfranco e dintorni è stata a somma positiva, non si sono create sacche di disoccupazione: una parte di lavoratori è stata assorbita, un’altra accompagnata in pensione. E c’è un’alta percentuale di occupazione femminile, tra le più alte del Veneto, dovuta anche a una forte realtà di cooperative entrate nell’orbita degli appalti Ulss per settori amministrativi e socio-assistenziali. Lavoro femminile significa molte famiglie a doppio reddito: per questo Castelfranco vive una situazione migliore rispetto ad altre zone della provincia».

Il boom mancato

«Trasformazione, nel complesso, a somma positiva, però è un manifatturiero che non ha quell’esplosione di valore aggiunto importante con ricadute sul reddito del territorio sotto forma di premi, incentivi, redistribuzione – sottolinea ancora Barbiero – Una sorta di macrodistretto eterogeneo che si estende verso Padova e Mestre, con Noale, Mirano e Camposampiero froma una rete di piccole città da duecentomila abitanti, tanta immigrazione dal Sud, 120 mila lavoratori, piena occupazione. Ci sono anche aziende nuove e non sindacalizzate, quella cultura non è ancora radicata com’era in Fervet o Berco, che hanno vissuto le vertenze per contratti e servizi. Qui i diritti conquistati negli anni Settanta sono presenti sin dall’inizio. Tra i lavoratori c’è turnover molto alto, che vuole essere migliorativo: si lascia un lavoro per cercarne uno di migliore. Anche le aziende così sono stimolate a fare meglio».

C’è un modello Castelfranco? Perché ha retto meglio di altre zone? «C’è tanta volontà di fare, ci sono state intuizioni imprenditoriali. Non c’è una logica di distretto, ma una capacità di adattarsi sì. È un territorio che ha saputo reinventarsi anche con altri settori, non rimanendo agganciato solo al metalmeccanico».

L’INTERVISTA/1

Dallan Spa, gioiello del taglio laser: «Qui un cluster della formazione»

Fatturato 2022 oltre i 41 milioni, previsioni per il 2023 di ulteriore crescita. La Dallan Spa (produce macchine per il taglio laser), è uno dei gioielli della manifattura castellana. Parliamo con Andrea Dallan, Ad, figlio del fondatore Sergio che ha creato l’attività nel 1978.

Dallan, voi avete una forte vocazione all’export: ha ancora senso rimanere e investire qui?

«Sì, sia per il livello di competenze nella Castellana, ma anche per la rete di piccole imprese che possono fare da sub-fornitori per tutto ciò di cui c’è bisogno per realizzare macchine sofisticate come le nostre, all’avanguardia».

Formazione adeguata?

«Ci sono scuole che formano ragazzi con competenze, ce li contendiamo tra aziende: Itis, scuole professionali, anche Its».

Investite?

«Stiamo pianificando una crescita, iniziamo i lavori al nuovo stabilimento da seimila metri che si aggiungerà ai due già esistenti. Vogliamo investire qui».

C’è una sorta di cluster?

«Direi di sì, penso anche a nomi come Breton, che attinge allo stesso tipo di competenze, parliamo di automazione, macchinari avanzati».

I numeri dicono che il territorio valorizza l’occupazione femminile.

«Da noi c’è una quota importante, anche nel cda: al cinquanta per cento anche. In produzione metalmeccanica sono soprattutto ragazzi per vocazione loro, ma se dalle scuole uscissero più ragazze saremmo felici di assumerle».

I vostri numeri?

«Siamo in 185 e il fatturato, dai 41 milioni del 2022, ha stime ’23 in crescita. L’Europa rallenta ma gli Usa, dove abbiamo aperto una sede, trainano: lì c’è forte richiesta di automazione soprattutto per aziende molto strutturate, multinazionali, trovano nella tecnologia europea livelli di automazione che nel loro mercato locale non c’è». 

L’INTERVISTA/2

«Noi bio prima che fosse di moda Oggi Germinal cresce all’estero»

Essere bio da prima che fosse una moda. Mangiare Sano, holding della famiglia Zuanetti, è conosciuta soprattutto grazie al marchio Germinal: merendine, biscotti, sughi, piatti pronti. L’ha fondata Emanuele Zuanetti, allora giovane panettiere, a Castelfranco a inizio anni ’80, oggi punta ai 67 milioni di euro di fatturato nel 2023 – in crescita dai 63 del 2022 – e conta oltre 170 dipendenti.

Zuanetti, sul territorio c’è una forte tradizione alimentare.

«Ci sono aziende storiche, Fraccaro, Dalla Costa, Sgambaro, Master, se consideriamo un distretto allargato. E ci siamo anche noi, ultimi arrivati».

Coltivando, come altri, una nicchia: chi i panettoni, chi gli gnocchi, voi il biologico.

«Sì, siamo l’unica azienda che lavora al cento per cento sull’organico e sulla sostenibilità in senso lato, da almeno 25 anni. Non ci siamo buttati in questo settore per la moda, non è nemmeno greenwashing: è nel nostro dna».

Si trovano i lavoratori?

«La competenza umana è fondamentale in ambito alimentare, è vero che il prodotto è realizzato meccanicamente, ma metodologia di lavoro e competenze sono imprescindibile per un risultato di eccellenza. Purtroppo si fa fatica a reperire risorse umane, ci si tengono strette quelle che si hanno».

Ha senso continuare a investire qui?

«La superstrada Pedemontana risolve un problema che ci ha penalizzati, la Castellana non era ben collegata dal punto di vista viario. Nonostante ciò, abbiamo oggi raggiunto quasi il 55% del fatturato sull’estero, i vincoli sono valicabili sapendosi attrezzare con una logistica opportuna su territori che si vogliono aggredire dal punto di vista commerciale, noi per esempio in Germania e Stati Uniti. Risolto il problema delle infrastrutture, resta quello della burocrazia».

Castelfranco Veneto, le cifre dei bilanci e la dinamica economica: ecco chi sono le 30 top aziende del territorio
La redazione

Riproduzione riservata © il Nord Est