L’economista Fortis: «Cruciale la carenza di materie prime se diventa cronica causerà una forte frenata»
L’economista Marco Fortis è direttore e vicepresidente della Fondazione Edison. Docente di Economia Industriale e Commercio Estero presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica, Fortis analizza la crisi della componentistica che sta rallentando pesantemente le consegne delle autovetture in settembre: «Siamo di fronte a una strozzatura importante che a mio parere è dovuta principalmente a un’emergenza congiunturale globale. Speriamo non duri troppo tempo. Tuttavia l’Italia sta resistendo meglio di Germania e Francia anche perchè l’industria dell’auto non è più così dominante per le sorti della nostra manifattura come nel Novecento».
Fortis, la crisi della componentistica rischia però di frenare la ripresa nel Paese dopo il crollo post-pandemia?
«Dipenderà dalla sua durata. La ripresa è molto forte e solida. Non siamo di fronte solo a un rimbalzo, che di fatto è il segnale di una economia forte sana. I dati dimostrano che l’industria manifatturiera italiana sta correndo forte in molti settori, dalla meccanica alla chimica. Grazie all’industria 4.0 gli investimenti dell’industria manifatturiera sono cresciuti in media a tassi superiori all’8 per cento per più di quattro anni consecutivi. Il Nordest non ha nulla da inviare alla Baviera. Il Veneto e il Friuli Venezia Giulia manifatturiero hanno performato addirittura meglio della Cina grazie alla modernizzazione digitale e alla robotizzazione delle sue imprese che considero un fatto straordinario».
Nonostante la paralisi provocata dai lockdown?
«Durante i lockdown la nostra industria si è dovuta fermare dopo anni di crescita: una volta che le campagne vaccinali in Italia e nel resto del mondo hanno accelerato anche l’economia è ripartita con una rapida espansione della domanda internazionale».
Tuttavia anche se nel 2021 abbiamo recuperato i livelli di crescita pre-Covid, questa ripresa così accelerata ha inceppato il sistema della logistica e degli approvvigionamenti internazionali paralizzando il settore auto...
«Settori come l’automotive e l’elettronica hanno sofferto a causa degli effetti indotti dai lockdown e dal blocco dei traffici internazionali. É come se avessimo interrotto i meccanismi che presiedono a un sistema complesso e all’improvviso diventa difficile tornare al vecchio regime. Una situazione che si è aggravata a causa dell’impennata dei prezzi delle materie prime che sono cresciuti molto rapidamente».
Con quali conseguenze?
«La ripresa globale sta sostenendo la domanda ma l’aumento dei prezzi delle materie prime e i costi elevati dei trasporti stanno erodendo i margini delle aziende che in alcuni casi sono costrette a produrre in perdita».
E l’Italia?
«Anche il nostro Paese, nonostante una ripresa economica molto solida, subisce le conseguenze di questa situazione in particolare nel settore dell’automotive. Tuttavia il nostro modello industriale italiano, rispetto a quelli dominanti di Giappone e Corea, è molto più flessibile perchè caratterizzato da tanti settori produttivi di nicchia, molto spesso d’eccellenza, e un sistema di piccole e medie imprese in grado di reggere qualsiasi forza d’urto, anche grazie alle riforme dell’industria 4.0».
Può spiegare questo aspetto?
«L’Italia soffre meno le difficoltà di approvvigionamento che oggi colpiscono le filiere dei componenti, semilavorati e microchip. E questo grazie a una politica industriale che dal 2015 in poi ha incoraggiato le imprese. Nel quadriennio 2015-2018 l’Italia ha avuto la più forte crescita media annua del valore aggiunto e della produttività manifatturiera tra i Paesi del G7. Siamo diventati la sesta economia al mondo per robot installati, la seconda nella moda, la terza nell’alimentare e nel mobile, la quarta nella meccanica davanti al Nord America».
Il sistema dell’automotive, però, nei primi nove mesi dell’anno ha perso oltre 300 mila autoveicoli rispetto al livello pre Covid. Servono incentivi?
«Gli incentivi non hanno aiutato il mercato dell’auto ad agganciare l’attuale fase di ripresa. Sono invece serviti nella maggior parte a sostenere le piccole e medie imprese e i servizi».
In quale misura questa crisi dell’automotive è legata allora fattori strutturali o viceversa a causa delle dinamiche di un mercato globale post-Covid?
«Per me siamo di fronte a un problema congiunturale globale. Le incognite del settore automotive sono poi legate al successo o meno della transizione ecologica del settore a partire dall’auto elettrica. Il mercato sta dando segnali confusi ai consumatori che non hanno ancora capito quale macchina nuova comprare fra modello ibrido o elettrico».
Le difficoltà produttive restano...
«La crisi delle materie prime e la grande frenata nella logistica delle merci è legata alla difficoltà di gestire una forte ripresa della domanda globale dopo la paralisi mondiale generata dal Covid e dai lockdown. Osservo però che secondo l’ultimo Purchasing Managers Index, l’indice globale degli acquisti delle imprese di materiali e componenti, l’Italia ha sofferto molto meno di Germania e Francia e si è classificata come quinto Paese al mondo con la più forte crescita della manifattura in settembre».
«Resta ottimista?
«Dipende. Se questo problema della carenza di materie prime diventerà cronico alla lunga rischierà di provocare anche una frenata in Italia. Dubito che Germania e Francia se la caveranno meglio. Persino la nostra Confindustria aveva previsto un rallentamento a luglio che invece non c’è stato».
Anche la Cina sta frenando...
«Molti Paesi asiatici stanno rallentando per la scarsità dei componenti e altri, come il Vietnam, stanno ancora affrontando una grave emergenza Covid fra lockdown e forti rallentamenti produttivi. L’emergenza non è finita».
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