Lucrezia Reichlin: «Germania gigante malato d’Europa, sì agli aiuti di Stato per il Green Deal»
L’economista Lucrezia Reichlin, docente alla London Business School: «La vera questione è la scarsa crescita in Europa e il divario di reddito pro capite con gli Stati Uniti»
Professoressa Lucrezia Reichlin, il modello sociale europeo è in crisi?
«Il modello sociale europeo è a rischio ormai da qualche decennio a causa della scarsa crescita economica e dell’invecchiamento della popolazione. Senza adeguati investimenti non potremo permetterci, in Italia e nel resto d’Europa, un sistema di welfare state ormai in crisi. Dobbiamo chiederci se una crescita così debole nel lungo periodo può preservare quei principi di inclusione e di eguaglianza che sono sempre stati al cuore del nostro sistema di protezione sociale».
Perché l’Europa cresce poco?
«La vera questione europea oggi è la scarsa crescita della produttività e il divario di reddito pro capite con gli Stati Uniti che continua ad aumentare. Questo contrasto è evidenziato anche nel rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi».
Il rapporto Draghi sottolinea la debolezza degli investimenti pubblici e privati. L’Europa ha bisogno di più risorse?
«Incentivi e regolamentazioni non bastano. Il Green Deal dovrà essere accompagnato da una svolta energetica e di politica industriale, sulla quale si giocherà il nostro futuro, che richiederà grandi investimenti e una forte politica industriale e infrastrutturale. Siamo di fronte a una rivoluzione industriale su scala ancora più grande di quella del carbone nel XIX secolo, e ciò nel breve periodo porterà costi elevati che non possiamo sottovalutare se vogliamo rispettare gli accordi di Parigi. Per una transizione veloce non basteranno gli investimenti privati e dovrà essere messo in campo un piano strategico europeo autorizzando gli aiuti di Stato nel breve periodo per progetti di investimento di interesse europeo comune. Sarà necessario accompagnare il Green Deal con un piano di investimenti in campo energetico, per ridurre i costi dell’energia, l’ammodernamento delle reti elettriche, dell’agricoltura, delle infrastrutture di trasporto. Si misurerà anche da qui la capacità di leadership dei governi europei.
Gli industriali lamentano però l’impraticabilità delle scadenze del Green Deal come la messa al bando delle auto benzina e diesel entro il 2035 e chiedono di rinviare. Hanno ragione?
«A mio parere gli industrali qui hanno torto. Gli imprenditori agricoli – almeno alcuni - sono più sensibili degli industriali perché hanno capito che non c'è più tempo per aspettare di fronte a una trasformazione ambientale ormai già in atto. I ritardi nel piano di transizione possono produrre conseguenze pesanti come è avvenuto in Germania dove gli industriali hanno esitato e rimandato la conversione all’elettrico così perdendo la loro posizione competitiva specialmente con la Cina. La Germania sta pagando un prezzo altissimo per questo ritardo. Si prevede che dopo la contrazione del 2023 anche il 2024 vedrà crescita negativa. La transizione ha dei costi di breve periodo, ma aspettare significa subire costi più alti nel lungo. Il rischio è che l’Europa perda competitività».
La recessione tedesca pesa sull’Europa. E l’Italia?
«La Germania è il nuovo gigante malato d’Europa. L'Italia, che è molto legata alla economia tedesca, non ha molto da gioire per il fatto che siamo cresciuti di più grazie alla forte ripresa della nostra economia negli anni post Covid-19. Non siamo in recessione, ma siamo appena al di sotto della media europea».
Il debito elevato dell’Italia che ormai sfiora i 3 mila miliardi può tornare ad essere un problema per i mercati?
«L’Italia è vulnerabile storicamente per il suo debito e la bassa produttività. Un aumento del debito tuttavia sarà fisiologico se i Paesi europei si impegneranno a rispettare gli obiettivi del Green Deal al 2030. Da qui al 2030 la rivoluzione energetica sarà un costo per le imprese e anche per le casse dello Stato mentre a lungo termine ci saranno sicuramente dei vantaggi in termini di sicurezza energetica. Questa è la ragione per puntare sul debito comune per le priorità europee come innovazione e ambiente, che avrebbe condizioni di rifinanziamento più favorevoli. Non si può pensare ad una Europa più competitiva sul piano economico e più autonoma sul piano strategico senza strumenti per investire su aree fondamentali come innovazione e ambiente».
L’economia americana ha corso molto nel post-Covid. Dobbiamo credere alla nuova rivoluzione tecnologica trainata dall’intelligenza artificiale oppure rischiamo una nuova bolla?
«Il problema, come in tutte le rivoluzioni tecnologiche, sarà capire come la tecnologia dell’AI verrà assorbita dall’economia in modo generalizzato. Ciò che conta per la produttività non è solo l’innovazione ma la sua diffusione. Abbiamo impiegato un secolo per assorbire le scoperte legate all’elettricità e ad utilizzarle nella vita quotidiana. Al momento questa new wave di innovazione non si vede nei numeri della produttività americana e chi ne beneficia sono solo alcune imprese giganti. Tuttavia, oggi gli Stati Uniti registrano una domanda aggregata molto più sostenuta di quella europea con il vantaggio di un mercato dei capitali in grado di favorire grandi investimenti in innovazione e quindi anche nell’intelligenza artificiale. In questo sono più avanti».
La Bce ha invertito la rotta sui tassi. Oggi l’inflazione non sembra essere già più un problema?
«Abbiamo assistito a una fiammata inflazionistica temporanea frutto di circostanze eccezionali come la ripresa delle economie dopo la pandemia e lo choc energetico provocato dalla guerra in Ucraina. Oggi l’inflazione è tornata sotto controllo. Sono convinta che, una volta riassorbito lo choc legato alla crisi del gas, Francoforte avrebbe dovuto tagliare i tassi con più anticipo e decisione e all’ultimo meeting avrebbe potuto tagliare di 50 punti base come ha fatto la Fed, per non deprimere la crescita economica. Questo non vuol dire che l’inflazione sia sconfitta per sempre. Anzi, prevedo ci saranno altri episodi di volatilità dell'inflazione anche come effetto dei costi della transizione energetica».
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