Marcegaglia: «Welfare e sostegni ma evitando nuove ghettizzazioni»
L’imprenditrice già presidente della Confindustria: «Italia indietro rispetto agli altri Paesi europei
per la parità di genere c’è molto ancora da fare, noto attenzione anche nel mondo del business»

Emma Marcegaglia è una delle donne più in vista sul fronte imprenditoriale e istituzionale del nostro Paese. Amministratore delegato della holding di famiglia (attiva da oltre 60 anni nel comparto siderurgico), già presidente di Confindustria e dell’Eni, ha una visione pragmatica della questione femminile nel nostro Paese e auspica uno sforzo condiviso per invertire la rotta.
Quanto è cambiata la questione della parità di genere in Italia, anche alla luce dell’esperienza Covid?
«Direi parecchio, e purtroppo in peggio. La pandemia ha colpito con particolare intensità le donne, in alcuni casi riportandoci indietro di anni rispetto ai progressi conquistati. Penso in particolare alla violenza di genere, al diritto all’istruzione, al lavoro. Il nostro Paese aveva fatto significativi progressi, anche se il divario rispetto alla piena parità e le distanze tra noi e i Paesi europei più avanzati, tipo Svezia e Danimarca, per capirci, restano notevoli. L’Italia si colloca al 14esimo posto nella Ue per parità di genere, con un punteggio inferiore alla media europea e ben lontano dalle posizioni di testa. C’è sicuramente molto ancora da fare. E questo è il momento giusto perché noto un’attenzione diversa anche dal mondo del business».
Si è da poco concluso il B20, una sorta di G20 del business, che lei ha presieduto. Nel suo discorso ha indicato tra le priorità proprio la valorizzazione del ruolo delle donne. Qual è la posta in gioco al di là di una questione di “giustizia” sociale?
«Innanzitutto il tema dell’empowerment femminile è stato, insieme alla sfida ai cambiamenti climatici, una delle priorità del B20 a guida italiana. Insieme alla mia collega e amica Diana Bracco posso dire, anche con una punta di soddisfazione, che è stato fatto un grande lavoro. La novità di questo B20 è che non ci siamo fermati a fare delle proposte, ma le abbiamo accompagnate con azioni concrete e parametri da raggiungere da qui al 2024. Tra questi, la necessità di aumentare il grado di partecipazione delle donne alla vita attiva, un obiettivo che non è solo un tema etico, ma economico. È uno dei più potenti strumenti che abbiamo per far salire l’asticella della crescita economica e sociale».
Ed è uno strumento in qualche modo misurabile?
«Certo, i dati sono chiari: se avessimo nei Paesi Ocse il tasso di occupazione femminile pari a quello svedese, che è del 70%, avremmo un impatto economico fino a 6 mila miliardi di dollari. Non solo. L'Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere stima che se in Europa ci fosse più equità tra i sessi, il Pil pro capite aumenterebbe tra il 6 e il 9%, il che vale tra 1 e 3 mila miliardi di euro, e significherebbe avere 10,5 milioni di posti di lavoro in più».
Cosa fare per invertire la tendenza?
«Agire, subito. Ad esempio, per ridurre il gap di occupazione tra uomini e donne, che oggi è al 26%. L’Europa si sta muovendo, ma serve insistere sulle politiche che sostengono il lavoro delle donne: decontribuzione, congedi parentali, asili nido, un sistema di welfare più attento, mettendo in moto tutte quelle soluzioni che hanno dimostrato di funzionare e potenziarle. Ma con criterio, altrimenti si ottiene l’effetto contrario. Lo smart working, per esempio, se diventa solo una modalità di lavoro “esclusiva” delle donne rischia di trasformarsi in un ulteriore ghettizzazione».
Lei è stata la prima donna presidente di Confindustria, tra il 2008 e il 2012: quanto è cambiata la situazione delle donne ai vertici delle istituzioni da allora?
«Abbastanza. Rispetto ad allora ci sono stati avanzamenti importanti, dovuti principalmente a una visione diversa, mi verrebbe da dire più ampia, del concetto di “potere”. Oggi molte più donne occupano posizioni di leadership grazie anche a scelte legislative decisive, una su tutte l’applicazione della Legge Golfo-Mosca sulle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate».
In diverse occasioni, a proposito delle questioni femminili, ha detto che è importante manifestare, ma soprattutto fare: cosa intende in particolare?
«Che bisogna affrontare il tema anche da un punto di vista culturale. Serve un forte networking internazionale che, soprattutto attraverso lo scambio di “buone pratiche”, abbatta gli stereotipi di genere, che ancora corrodono gli ambiti famigliari, aziendali, sociali, istituzionali. Dobbiamo partire dal basso e concentrarci sull’istruzione, a partire da quella primaria e proseguendo con quella secondaria. C’è un dato che mi ha molto colpito in questi mesi che, come chair del B20 ho seguito questi temi. L’educazione scientifica: secondo l’Istat nel 2020 solo una ragazza italiana su sei si è laureata nelle cosiddette materie Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Anche qui serve parlare, coinvolgere, spiegare alle ragazze, ma non solo, che le materie scientifiche non sono appannaggio dei maschi, ma posso offrire ottime occasioni di realizzazione e lavoro anche per le donne».
Sono maturi i tempi per una donna presidente della Repubblica o del Consiglio?
«Le posso rispondere con una battuta?»
Certo.
«Vorrei fossero maturi i tempi in cui non ci fosse più bisogno di porre una domanda del genere».
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