Montebelluna vende Palladio cosa resta della finanza veneta

PADOVA. Il crac di Veneto Banca, la fine del potentato di Vincenzo Consoli, la liquidazione coatta amministrativa dell’istituto hanno determinato la dissoluzione del reticolo del fronte veneto della finanza. Montebelluna era il centro di questo cosmo. L’elemento che saldava il pugno di imprenditori veneti che, per un certo periodo, hanno calcato la scena nazionale dell’alta finanza. Oggi sono separati, e stanno blindando le società che un tempo li univa.
La nuova Palladio
Succede così che nella vendita delle quote che Veneto Banca ha in Palladio e in Sparta a fare l’offerta sia stato proprio Meneguzzo. Sul piatto 85,5 milioni per liquidare Montebelluna e farla uscire sia dalla holding di controllo che sta in cima alla catena, dove azionisti sono Roberto e il figlio Jacopo Meneguzzo e Giorgio Drago, che dalla Palladio Finanziaria. Oggi Pfh ha un asset value di circa 400 milioni, 100 milioni di liquidità. Tra i fondi principali c’è Vei Capital che ha una dotazione di 513 milioni di euro, interamente sottoscritti e investiti. Generali è il secondo azionista del fondo con circa il 30 per cento dell’ammontare complessivo gestito, 150 milioni di euro sui 500 milioni di comittment iniziale. Poi ci sono le banche venete, oltre a Montebelluna anche Bpvi, che hanno il 20 per cento. Il 2017 è stato l’anno del rilancio, è stata firmato un accordo con Amundi e soprattutto si è riportato in utile il bilancio. L’anno si chiude infatti con un utile di 20 milioni di euro, dopo le svalutazioni del 2016 che avevano portato i conti in rosso.
Ma la scelta di rafforzarsi, in Sparta è in corso un aumento di capitale da 40 milioni di euro, stringendo la presa sulle proprie società è il segno ineludibile che qualcosa è cambiato. E il sodalizio nato ai tempi di Generali è finito. Nella finanziaria Ferak, da cui Palladio è uscita nel 2016, è in corso una guerra tra i soci. Gli Amenduni che ora controllano la società con il 66% e i soci minori, tra cui la Finint di Enrico Marchi, sono in rotta di collisione per l’aumento di capitale da 70 milioni di euro. Si rivedranno in tribunale a settembre e si saprà se la sospensione della ricapitalizzazioni sarà confermata oppure no.
La fine del sodalizio
Non sono più i tempi in cui un manipolo di quarantenni, finanzieri e imprenditori, con un istinto un po’ corsaro, facevano irruzione nel santuario della finanza italiana: le Generali. Grazie ai quasi 460 milioni di euro prestati dalla banca di Montebelluna con il sostegno del suo ex dominus Vincenzo Consoli si erano seduti al tavolo con Fabrizio Palenzona, plenipotenziario della CrTorino, e con UniCredit per rilevare il pacchetto del Leone che tante tensioni aveva scatenato nel mondo, lontano, dei salotti di potere milanesi. Era il 2010 e dentro a quel veicolo nato dalla joint venture tra CrTorino e Ferak c’erano tutti i protagonisti della finanza veneta. Enrico Marchi e Andrea De Vido ancora insieme in Finint, Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago in Palladio, Consoli e gli Amenduni. Armati dei danari e difesi da una granitica torre dentro al Leone, l’allora amministratore delegato Giovanni Perissinotto (oggi nel cda di Finint).
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