Niente scuse: non si produrrà qui ai costi del Far East
Caro direttore,
Abbiamo letto con molta attenzione l’inserto del suo giornale dedicato in gran parte ad fenomeno del momento: il reshoring. Chiariamo subito che il rinnovato interesse per la manifattura ed in particolare quella garantita dalle filiere delle imprese artigiane venete, ed italiane in generale, non può che farci piacere. E’ il coronamento di anni e anni di lavoro sindacale nell’ambito della categoria della moda di Confartigianato.
Ma perché il rientro delle lavorazioni passi da un fenomeno di moda, relegato a discorsi di principio e di opportunità sociale ospitati sulle pagine dei mass media e nei discorsi di politici ed imprenditori, alla cruda e dura realtà fatta di macchine da cucire, taglierine, rimaglio etc, servono alcuni fattori determinanti.
Partiamo da una considerazione cruda ma illuminante: nel corso del 2015, anno in cui si è iniziato a parlare di rientro delle lavorazioni in modo insistente, in Veneto e solo nel mondo dell’artigianato dedicato al fashion (tessile abbigliamento calzature e pelletterie) hanno chiuso i battenti 678 imprese. Quasi due al giorno!
Seicentosettantotto storie, bacini di competenze, giacimenti di conoscenze e capacità raccolte nelle mani di migliaia di operaie ed operai che sono spariti per sempre. Una emorragia che mina alle basi i progetti di rientro dei nostri capitani di impresa che, per tornare a produrre i loro capi qui in Italia, hanno bisogno innanzi tutto di imprese che sappiano garantire certe lavorazioni e una qualità assoluta. Requisiti difficilmente ritrovabili in aziende appena nate.
Quello che costatiamo è che anche, in questi primi mesi dell’anno, questo stillicidio di chiusure non accenna a diminuire. Anzi forse sta anche aumentando di intensità. Ed il problema vero è uno ed uno solo: il prezzo delle nostre lavorazioni.
Sono molti i contatti che di recente le grandi imprese della moda venete (e non solo) hanno avuto con il variegato e strutturato tessuto produttivo dei terzisti veneti –che ricordiamo sono ancora 6.156. Forse la filiera più completa e dinamica di tutta Europa-. Molte le richieste per capire cosa ancora siamo capaci di produrre, in che quantità e con quale qualità. Ma è al momento del prezzo da riconoscerci che casca il palco. Siamo distanti. Alle volte distintissimi.
La nostra opinione è che i capitani di industria davvero illuminati, che vogliono recuperare un valore sociale ed ambientale nelle loro lavorazioni, che vogliono riprendersi l’orgoglio di fregiarsi del made in Italy –quello vero e non quello dopato dai laboratori clandestini cinesi- sono oggi ancora davvero pochi. I “Cucinelli” sono merce rara, quasi unica.
Anni e anni di delocalizzazione non si cancellano in un attimo. Si sono abituati a pagare troppo poco (per avere anche molto poco ma questo non lo vogliono ancora riconoscere) ed ora i loro sistemi finanziari non concepiscono di dover pagare. E non solo per la sopravvivenza di chi lavora ma anche per la qualità, la sicurezza degli ambienti di lavoro, la salubrità del nostro territorio e dei prodotti oltre che per pagare le tasse.
Sia chiaro che essere in questa fase di esplorazione da parte di diverse realtà produttive anche di rilievo internazionale, è molto positivo. Come valutiamo con favore sia il sistema di agevolazioni contenute nella legge di stabilità che consentono investimenti con detrazioni di imposte al 140% e l’attenzione di importanti istituti di credito come Unicredit ed Intesa che hanno messo a punto strumenti che possono favorire il rientro reale delle lavorazioni.
Ma non possiamo accettare che il rientro venga salutato con finanziamenti a pioggia o peggio, premianti per chi sino ad ora ha approfittato di un sistema lecito anche se discutibile. E soprattutto non devono essere messi in campo strumenti che portino a pagare, qui in Italia, gli stessi prezzi della Tunisia o della Cina. Chi rientra deve avviare un percorso di “disintossicazione” che porti al rispetto dei tempi di pagamento ed al riconoscimento non solo del lavoro ma soprattutto delle regole. Solo così il fenomeno del reshoring sarà davvero il rinascimento della nostra manifattura. E noi siamo pronti a fare la nostra parte.
Giuliano Seccco
Presidente Abbigliamento
Confartigianato
Gianluca Fascina
Presidente Federazione Moda
Confartigianato Imprese Veneto
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