Nordest, motore ingolfato che perde colpi in Europa
La Fondazione Nord Est: negli ultimi vent’anni la crescita è stata insufficiente.
Se la Lombardia e l’Emilia Romagna in vent’anni perdono rispettivamente 20 e 26 posizioni, il Veneto ne perde 37, il Friuli Venezia Giulia 43, Trento 24 e Bolzano 7

Altro che locomotiva. Il Nordest, messo al confronto con le macroaree europee più dinamiche sotto il profilo socioeconomico, esce con le ossa rotte. Di certo deve avviare un profondo ripensamento di sé, per tornare il territorio competititvo a livello continentale che è stato in passato. Secondo uno studio della Fondazione Nord Est diffuso ieri, negli ultimi vent’anni tutte le regioni italiane sono cresciute a ritmi molto inferiori rispetto a quelli delle altre regioni d’Europa. E il Nordest non fa affatto eccezione: l’ex motore d’Italia procede lentamente e certamente non riesce più a funzionare da traino per il Paese.
Le statistiche nazionali
I numeri portati a supporto di questa tesi sono eloquenti, e vanno collocati nel contesto della crescita a ritmo troppo blando di cui il Paese soffre da troppo tempo. «Se in Italia – scrive il report della Fondazione Nord Est – nel 2000 il Pil pro capite era del 22% più elevato rispetto alle media europea, vent’anni dopo ne è del 6% sotto. Un arretramento che, pur con intensità diverse, non risparmia nessuna regione italiana. Né quelle che partivano da livelli di Pil pro capite superiori: gli abitanti della Lombardia avevano un Pil del 62% più alto del cittadino medio europeo, dopo vent’anni il vantaggio è calato di due terzi, al 23%; l’Emilia Romagna ha fatto peggio, passando da +51% a +13%. Né quelle che partivano già nel 2000 da livelli del Pil inferiori alla media europea: in Campania il Pil pro capite era del 18% più basso della media Ue, nel 2019 è del 39% inferiore; in Sicilia era più basso del 22% e dopo quasi vent’anni la differenza si attesta a -42%».
In questo scenario Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano non fanno certamente la differenza. Fra il 2000 e il 2019 il reddito pro capite del Veneto è cresciuto “solo” del 4,6% a 35.164 euro.
Confronto perdente
Abbastanza simili i miglioramenti del Friuli Venezia Giulia con il 5,6% a 33.721 euro e di Trento con il 2,3% a 40.733, mentre Bolzano mostra maggiore dinamismo: più 18,1% a 50.118 euro.
Sono numeri (si veda la tabella in pagina) che vanno rapportati alla media europea (Ue a 27 Paesi): più 33,5% a 32.277 euro con punte di eccellenza che vanno da Amburgo, l’area più ricca (più 16,8% a 62.905 euro) a Dresda (più 49,8% a 30.318 euro) e Lipsia (più 48,8% a 31.865 euro), i territori più dinamici. Alla fine il verdetto è impietoso: se la Lombardia e l’Emilia Romagna in vent’anni perdono rispettivamente 20 e 26 posizioni, il Veneto ne perde 37, il Friuli Venezia Giulia 43, Trento 24 e Bolzano 7.
Insomma il Nordest è un motore ingolfato, non spinge più come ai tempi d’oro in cui è nato il suo mito. E a livello europeo è in buona compagnia, con quelle che la Fondazione Nord Est definisce le regioni finite “trappola dello sviluppo”, quelle che perdono dinamismo in termini di reddito, produttività e occupazione. «Le regioni che si trovano in trappola – dicono i ricercatori della Fondazione Nord Est – vivono in una condizione scomoda: da un lato, i loro costi di produzione risultano troppo elevati per poter essere competitive nella produzione di beni e servizi a basso valore aggiunto; dall’altro lato, la qualità del loro capitale umano, combinata alla capacità di innovazione radicale, si rivela insufficiente per rivaleggiare con quella delle regioni di testa in Europa, che rimarrebbero quindi inavvicinabili nella produzione di beni e servizi tecnologicamente avanzati e ad alta intensità di conoscenza».
Come uscire dalla trappola
Il tema diventa dunque come si esce dalla “trappola dello sviluppo”, argomento che diventa automaticamente materia per il prossimo governo. Il focus va posto sul valore aggiunto generato dall’industria, sul valore aggiunto generato dai servizi non di mercato (welfare, salute, istruzione e difesa) e sui trend demografici, notoriamente orientati all’invecchiamento: «Ciò suggerisce di adottare politiche a favore dei giovani lavoratori, più che degli anziani (pensionamento anticipato); e indirizzate all’istruzione e alla formazione, più che all’innalzamento delle rendite previdenziali, trovando un nuovo equilibrio nella spesa per il welfare, oggi molto spostata a favore degli anziani».
Alla fine – nella coda il veleno, si direbbe – una considerazione dei ricercatori che non è strettamente economica, ma quasi antropologica. «I cittadini delle regioni che rimangono intrappolate – scrive la Fondazione Nord Est – alla lunga perdono la capacità di elaborare visioni e progetti finalizzati allo sviluppo futuro, autoalimentando la convinzione di essere tagliati fuori dai processi di crescita e ciò, quindi, genera in loro il risentimento sociale e politico che conduce a politiche risarcitorie anziché premiali delle iniziative di crescita». Il ritratto dell’Italia (e del Nordest) di oggi: più bonus e ristori, meno istinti animali.
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