Nordest senza manodopera. Bono: «E’ ora di parlare di immigrazione»
Mancano circa 50 mila lavoratori non qualificati. A dilo il Rapporto 2022 della Fondazione Nord Est. Il presidente Giuseppe Bono: «Da 13 anni le nascite raccontano un problema di denatalità evidente, ma ce ne accorgiamo solo ora. Con responsabilità va affrontato il tema immigrazione»
VENEZIA. Nel Nordest mancano già ora e ogni anno per i prossimi trent’anni circa 50 mila lavoratori non qualificati.
È questa una delle cifre più pesanti emerse dalla presentazione del Rapporto 2022 di Fondazione Nord est, il forum economico di proprietà delle Confindustrie del Trentino, del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.
Nell’aula magna del Museo del ‘900 M9 di Mestre, sala dedicata allo scomparso Cesare De Michelis, è andata in scena l’11 luglio, tra suggestioni culturali e dati di un presente che impone riflessioni stringenti sul destino futuro dell’area, il racconto di un Rapporto dal titolo suggestivo di: “Il futuro sta passando - Chi è pronto e chi no”.
E poco pronto sembra essere il sistema nel suo complesso. Un sistema vittima di uno squilibrio demografico pesante per il quale, secondo le stime del demografo dell’Università di Padova Gianpiero dalla Zuanna, le imprese del Nordest avrebbero bisogno di circa 50 mila nuovi lavoratori a bassa qualifica solo per sostituire, da qui ai prossimi 30 anni, quelli pronti per il pensionamento. E il disagio relativo alla programmazione di un futuro dove il tasso di incertezza globale è in crescita pressochè geometrica dalla prima guerra del golfo nel 1991 ad oggi, si è letto anche dalle parole del presidente di Fondazione Nordest Giuseppe Bono, già Ad di Fincantieri e past president di Confindustria Friuli Venezia Giulia.
«Sono almeno 13 anni che le nascite in Italia raccontano di un problema di denatalità evidente» ha detto Bono nel suo intervento introduttivo «ma ce ne accorgiamo solo ora. Stiamo diventando un Paese di anziani. Un Paese, e il Nordest non fa certo eccezione, con una manodopera che inizia a mancare in maniera seria alle imprese e in cui l’inflazione reale è ben al di sopra dell’8% dichiarato. Un Paese che fa conto su di un Pnrr che dà l’impressione di avere privilegiato progetti vecchi di vent’anni e mani conclusi. In questo contesto quello di cui abbiamo bisogno è certo del coraggio degli imprenditori, della loro capacità di sfidare il reale e di piegare il contesto a proprio favore. Ma abbiamo bisogno anche di una politica con la P maiuscola che sappia indirizzare le scelte e assumersi le responsabilità per il futuro. Anche affrontando il tema dell’immigrazione con senso di responsabilità. Magari introducendo dei flussi migratori in ingresso modulati attraverso percorsi di formazione nei paesi d’origine».
Ed il Nordest, pure con tutte le difficoltà di una situazione critica come quella che stiamo vivendo, si conferma a tutt’oggi motore sano del Paese: di fatto dal 2001 al 2019, il Pil dell’area (che comprende Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna) è cresciuto del 9,1%, quasi 4 volte tanto il resto dell’Italia (escluso il Nordest) che ha invece registrato un incremento del Pil limitato al 2,6%.
«Si tratta di un area economica che ha ancora molte chance» ha ricordato Gianluca Toschi ricercatore senior Fondazione Nord Est «ma il rischio di un contesto così sfidante e di risorse, anche umane, così scarse è quello che si allarghi la forbice tra chi sarà in grado di crescere e chi no: i primi sono quelli che possono contare su un’organizzazione più avanzata, un patrimonio di conoscenza e tecnologia più vasto che, sono più attente ai temi Esg e che producono più valore aggiunto. Proprio in virtù di questi fattori e di una dinamicità superiore al proprio contesto sono in grado di attirare le risorse umane migliori innescando un circolo virtuoso che rischia di essere precluso ad altre realtà».
Ed in effetti pure se il Nordest ha dimostrato negli anni del pre-Covid di avere la resilienza per crescere, il confronto con il resto d’Europa non è esaltante: complessivamente, tra 2001 e 2019 l’area perde 18 posizioni (dalla decima alla ventottesima) in Europa per Pil pro-capite prodotto con ciascuna delle 2 province autonome e delle 3 regioni che comprendono il Nordest scese di svariati gradini in classifica.
«Il Nordest ha una bella densità di imprese avanzate, ha forte resilienza e flessibilità e in un universo di Pmi può contare su alcune grandi imprese, gioielli di impreditorialità noti in tutto il mondo» ha concluso il presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro, socio di Fondazione Nord Est. «Manca invece un po’ della fame e della voglia di creare qualcosa di nuovo che il Nordest aveva all’inizio del suo boom e manca una visione d’insieme, una progettualità per il futuro che dovrebbe vedere la politica più coinvolta di quanto non sia».
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