[Opinioni] I manager esterni, i modelli di governance e la riorganizzazione nella sanità

01/05/2020 Istanbul. Biologi molecolari con dispositivi di protezione lavorano in un laboratorio ad alta sicurezza di un ospedale privato di Istanbul. Dopo l'individuazione dei primi casi COVID-19 in Turchia, il Ministero della sanità ha autorizzato diversi laboratori pubblici e privati ​​per i test COVID19. Questo laboratorio di biologia molecolare di un ospedale privato è stato convertito in un laboratorio Covid-19 in breve tempo.
01/05/2020 Istanbul. Biologi molecolari con dispositivi di protezione lavorano in un laboratorio ad alta sicurezza di un ospedale privato di Istanbul. Dopo l'individuazione dei primi casi COVID-19 in Turchia, il Ministero della sanità ha autorizzato diversi laboratori pubblici e privati ​​per i test COVID19. Questo laboratorio di biologia molecolare di un ospedale privato è stato convertito in un laboratorio Covid-19 in breve tempo.

Abbiamo detto e ridetto che non possiamo tornare alla “normalità”, neppure nel sistema sanitario. Tale sistema ha sofferto molto, nel momento dell’attacco epidemico, perché sbilanciato a favore della medicina tecnologica, da ospedale specializzato, e poco orientato invece alla prevenzione e gestione delle patologie diffuse nel territorio.

Il nostro sistema è stato congegnato con obiettivi e logiche che non sempre privilegiano le esigenze mutevoli dei cittadini (oggi più anziani), la qualità del servizio pubblico nel territorio e la partecipazione degli attori più competenti nella gestione della filiera.

Nel momento in cui la pandemia, comincia ad allentare la presa, la questione organizzativa della sanità torna al centro del dibattito, anche in una regione come il Veneto, che ha dimostrato di essere impostata in modo resiliente.

Ci sono due modi per farlo. Da un lato possiamo confrontare tra loro le strutture sanitarie e le risorse umane impegnate nella filiera salute, attraverso una valutazione delle ULSS e dei “manager” esterni. Questa strada è coerente con scelte effettuate quando le strutture sanitarie pubbliche erano malridotte, anche per colpa dei medici, e un minimo di contrasto ai “conflitti di interesse” della categoria principe della materia, i medici appunto, è sembrata la soluzione vincente.

Manager esterni sono stati chiamati a definire strategie di modernizzazione della filiera salute, negli ospedali soprattutto e nelle strutture di assistenza, con l’obiettivo di ridurre costi e sprechi. E, per far questo, hanno introdotto nuovi sistemi di gestione, mutuati dalle imprese industriali e un po’ di concorrenza tra strutture pubbliche e private.

Questa scelta, tuttavia, ha funzionato a metà, e non solo per i difetti dei sistemi gestionali e informativi effettivamente implementati. Ha funzionato a metà anche perché non è adatta al corretto sviluppo di un bene collettivo, distribuito nel territorio, come la sicurezza sociale e sanitaria. Questo tipo di bene dovrebbe essere gestito in base ai principi che sono valsi il premio Nobel a Elinor Ostrom e che non sono quelli del mercato, dell’organizzazione manageriale o della politica. Tali principi prevedono l’ingaggio di “sorveglianti” esterni, competenti e privi di conflitti di interesse, ma anche decisioni sottoposte al controllo degli “appropriatori”, vale a dire dei soggetti che fanno funzionare la filiera ogni giorno, con competenza, dedizione (medici e infermieri in primo luogo) e tecnologie dedicate 4.0.

Se vogliamo, dopo l’emergenza, tornare alla normalità sanitaria pre-coronavirus, dobbiamo ricordare che essa non era e non è priva di difetti importanti. Se vogliamo invece innovare il sistema, dobbiamo chiedere ai leader regionali di introdurre modelli di governance più adatti alle esigenze di un bene collettivo di crescente importanza per tutti.

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