[Opinioni] I tre punti problematici del piano Colao

Non so se quello che si racconta sulla reazione negativa di Conte al piano Colao sia vera. Ma è verosimile, visto che, se non ci fossero stati contrasti, ci sarebbe stata almeno una conferenza stampa congiunta tra i due. Ma non ci si deve stupire se, come in passato, la politica non accetta in modo entusiastico il parere dei tecnici.

Certo, «è la politica che deve decidere» (che scoperta!), ma dopo aver chiesto un parere a tecnici indipendenti, sarebbe anche giusto se la politica spiegasse perché certi consigli non sono stati accettati. Insomma, mi coglie un senso di deja vu… Ma non è di questo che voglio parlarvi, né della difficoltà di capire perché il presidente del Consiglio, prima ancora che venisse finalizzato il piano Colao (da lui stesso nominato), abbia deciso di convocare gli “Stati Generali dell’Economia”. In tanti hanno già sollevato dubbi sull’utilità di tale evento. Ma non voglio avere preconcetti: vedremo cosa accadrà fra qualche giorno.

Voglio invece commentare alcuni aspetti del piano Colao. È un piano complesso, presentato in due documenti: un “Rapporto per il presidente del Consiglio dei ministri” di 53 pagine e le 102 “Schede di lavoro”. Ma è un piano estremamente utile, sia a livello strategico, sia in termini di suggerimenti concreti da attuare nell’immediato e nel medio periodo.

L’enfasi data, in particolare, a una riforma della pubblica amministrazione che la renda alleata, e non ostacolo, dell’attività delle imprese, a una pubblica istruzione e ricerca di alta qualità per formare il capitale umano, e a infrastrutture moderne e verdi (senza nulla togliere agli altri tre pilastri della proposta) sono di particolare importanza.

Credo però sia più utile concentrarsi su tre punti che vedo in qualche modo problematici. I primi due sono di natura generale. Il terzo è molto specifico ma, secondo me, richiede ugualmente un commento.

Il primo punto riguarda la mancata indicazione del costo delle proposte avanzate per le finanze pubbliche. Il rapporto si limita a indicare quali misure richiederanno un finanziamento pubblico. E sono tante: per 83 su 102 delle aree di intervento servono soldi pubblici. Non ho (ancora) una stima di quanto potrebbe costare realizzare queste proposte, ma l’impressione è che non si tratti di “noccioline”. Certo, ci sono i finanziamenti europei del piano Next Generation EU, che saranno proprio volti a realizzare iniziative di rafforzamento strutturale dei paesi UE. Ma è impossibile valutare del tutto la validità e la fattibilità di un piano, anche rispetto a possibili alternative, senza conoscerne il costo.

Il secondo punto riguarda un aspetto che ritengo essenziale per il buon funzionamento dell’economia italiana e che non viene trattato, se non con un rimando nel rapporto per il presidente del Consiglio. A pagina 10 di quest’ultimo si dice che la riforma della giustizia «con l’obiettivo di ridurre i tempi e aumentare la certezza della giustizia civile, è imprescindibile per un Paese che intenda attrarre gli investimenti esteri e aumentare quelli domestici». Tuttavia, quest’area non viene sviluppata perché «di maggior contenuto specialistico».

Il problema è che l’efficacia di tante altre riforme proposte da Colao possono funzionare bene solo se riusciremo a far funzionare bene anche la giustizia, e non solo quella civile, ma anche quella penale e amministrativa. Prendiamo la proposta di semplificare la burocrazia sostituendo a estenuanti procedure di controllo ex ante maggiori controlli ex post e severe punizioni per chi sgarra.

Questo approccio funziona solo se la giustizia penale punisce rapidamente chi si comporta male. Prendiamo la proposta di accelerare gli investimenti pubblici. Ci potremo riuscire solo se eviteremo che tutto venga bloccato da ricorsi al Tar per chi perde le gare di appalto. Non sono che esempi. Più in generale, un’economia può funzionare bene solo se vi è certezza del diritto. Infatti, la durata dei processi (civili) in Italia è da anni ai primi posti dei fattori che scoraggiano gli investimenti esteri in Italia. Non è quindi possibile prescindere da questo punto nel formulare un progetto di rilancio del nostro Paese.

Il terzo punto, quello più specifico, riguarda una proposta che mi lascia perplesso. A pagina 17 del Rapporto e nella scheda 7 ci sta l’ennesimo condono fiscale.

Non si tratta solo dell’emersione del contante, come suggerito dal titolo della scheda. Il condono comprenderebbe anche la regolarizzazione di «altri valori» e dei capitali «detenuti illegalmente all’estero» (pagina 17 del Rapporto). Non lo si chiama “condono”, preferendo il più elegante “Voluntary Disclosure”, ma quello è: il solito premio dato a chi ha evaso le tasse e il solito incentivo a non pagarle in futuro.

Fra l’altro, l’idea che «il 40%/60%» dei fondi debbano essere investiti in strumenti che supportino il rilancio del Paese non è molto convincente: i fondi potrebbero essere investiti anche in società di proprietà dell’evasore stesso, cosa che magari sarebbe avvenuta lo stesso utilizzando altre risorse detenute in Italia. I capitali rientrati oggi potrebbero quindi uscire domani. Un vero peccato che un rapporto che contiene tante ottime proposte di ammodernamento ne contenga anche una così legata alle peggiori tradizioni della nostra economia. —

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