Patto d’acciaio degli industriali di Veneto e Fvg per la Confindustria del Nordest
Al via il cantiere di lavoro per l’aggregazione: «Una solida politica industriale di rilancio. No alle fusioni a freddo»
TRIESTE. Patto d’acciaio a Nordest fra gli Industriali di Friuli Venezia Giulia e Veneto.
Giuseppe Bono, presidente degli industriali del Friuli Venezia Giulia ed Enrico Carraro, numero uno degli Industriali del Veneto, presentano il22 giugno a Vicenza un progetto di aggregazione che viene definito «un cantiere di lavoro e non una fusione a freddo» ma con l’obiettivo di «superare i confini amministrativi regionali per connettere in modo più efficiente le realtà produttive che già adesso operano con filiere interdipendenti e integrate».
Di fatto il processo che porterà all’aggregazione delle varie anime di Confindustria a Nordest (da Treviso a Trieste) è ormai partito. Non si tratta di una «scalata» veneta (o viceversa) verso l’industria del Fvg. C’è al contrario molta gradualità e cautela. Molto (o tutto) si saprà quando Bono e Carraro si presenteranno assieme a Mestre. Al momento si parla di un dialogo «di reciproca utilità» e di una necessità di «allargamento della base confindustriale». E comunque solo un primo passo, si sottolinea.
Passo che al momento la potente Confindustria Udine non sembra condividere.
PATTO D’ACCIAIO
Questo patto d’acciaio fra la Confindustria nordestina sarebbe maturato anche all’interno di un dialogo nel think thank di Fondazione Nord Est presieduta dallo stesso Bono e che vede come soci oltre agli industriali veneti anche Confindustria Friuli Venezia Giulia e Confindustria Trento. In questo salotto buono dell’imprenditoria nordestina siedono anche Enrico Carraro e il numero uno di Confindustria Alto Adriatico Michelangelo Agrusti.
POTENZE DI FUOCO
Confindustria Veneto, che è nata nel 1971, attraverso le Associazioni Territoriali della Regione, rappresenta circa 10 mila imprese, con oltre 250.000 addetti. Una potenza di fuoco impressionante se paragonata ad esempio a Confindustria Alto Adriatico, nata lo scorso anno dalla fusione a freddo fra Trieste, Gorizia e Pordenone, con le sue 1200 imprese raggruppate in 14 filiere merceologiche e circa 60 mila addetti. Tuttavia qui in gioco non ci sta la ferrea logica dei numeri di rappresentanza ma visioni di politica industriale.
Il patto che illustreranno Carraro e Bono si fonda sulla necessità comune di avviare un dialogo «strutturato» con il sistema industriale del Nordest e le sue filiere per mettere a punto «una solida politica industriale di rilancio».
PROTOCOLLO OPERATIVO
Alla base ci sarebbe un protocollo operativo di politica industriale per il rilancio dell’industria manifatturiera e delle sue filiere a Nordest. Una visione che supera i confini regionali per dare vita a un sistema «aperto». Aperto come può essere, si suggerisce, il Porto di Trieste diventato un catalizzatore di nuove iniziative industriali che superano i confini regionali.
I PIANI DI BONO
Va detto Bono in questo progetto ha preso decisamente il centro della scena. Per capire quale sia la posta in gioco basti ricordare il discorso impetuoso che il numero uno di Fincantieri ha fatto nel weekend a Genova (dove martedì si voterà proprio per la presidenza di Confindustria) a un convegno organizzato dalla Uilm: «Abbiamo un cantiere in Romania dove non troviamo manodopera specializzata e siamo stati costretti a importare 500 lavoratori dal Vietnam».
Ancora una volta la preoccupazione per il lavoro in attesa che il governo Draghi decida sul blocco dei licenziamenti. Un blocco che «non sarà infinito e quando prima o poi finirà e il Paese dovrà prepararsi a riassorbire gli esuberi». Il lavoro, e tutte le altre sfide che attendono il Paese nel post-pandemia: il digitale, la transizione energetica, il rilancio delle infrastrutture.
POLITICA INDUSTRIALE
Questioni vere di politica industriale che richiederanno per questo la messa a punto di un patto confindustriale a Nordest per uscire dalla crisi. Come mostra un rapporto recente proprio della Fondazione Nordest l’emergenza sanitaria nei primi nove mesi del 2020 non solo ha colpito l’export con perdite a due cifre ma ha spezzato le tradizionali catene globali di fornitura: «Nello scenario globale l'Europa non sta brillando per innovazione. Un'industria farmaceutica che è la prima o la seconda al mondo non riesce a fare un vaccino e nemmeno a produrlo», ha detto il Ceo di Fincantieri. Che ha deciso di rompere gli indugi.
p.fiumano@gnn.it
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