Patto fra il porto di Trieste e l’Area di ricerca sull’energia a idrogeno
TRIESTE «Il futuro del porto sta fuori del porto perché deve essere capace di attirare capitali e investimenti»: il presidente dell’Auhority di sistema dell’Adriatico Orientale Zeno D’Agostino, alla presentazione del rapporto Ambrosetti, racconta che per la prima volta i camion turchi che approdano nell’area franca di Fernetti corrono lungo un processo di verifica e controllo del traffico interamente digitale. «Operiamo - spiega D’Agostino - in un sistema logistico che coinvolge Monfalcone, gli interporti, la FreeZone di Trieste, la zona industriale di Trieste. Bisogna gestire in modo armonico il territorio dal punto di vista logistico e industriale».
«Per noi - spiega D’Agostino - il 2020 è stato un anno deciso che ha visto l’accordo con il porto di Amburgo e con l’Ungheria. Bisogna portare valore e occupazione sul territorio e non solo traffici».
Una integrazione ormai stretta. Distanziato e da remoto il presidente dell’Area Science Park, Antonio Paoletti, annuncia che domani il consiglio d’amministrazione dell’istituzione scientifica triestina approverà un piano triennale di sviluppo all’interno del quale è prevista una collaborazione sulle applicazioni industriali di energia e idrogeno proprio con il porto di Trieste. Si tratta del progetto strategico Hydrogen Hub per realizzare un punto di stoccaggio di idrogeno per la propulsione navale ad impatto ambientale zero. È previsto il coinvolgimento delle tre istituzioni universitarie della regione (Trieste, Udine e Sissa) e degli altri enti di ricerca triestini (Ogs, Cnr e Elettra Sincrotrone) insieme ad aziende della filiera. «Da cinque anni cerchiamo di sconvolgere il paradigma portuale internazionale. Un luogo sul mare in cui arrivano imbarcazioni che caricano e scaricano merci e persone», spiega D’Agostino, cui non piace il termine blue economy, rispetto al quale preferisce la definizione crescita blu. Una crescita industriale e strategica che ora passa attraverso il patto con la Sissa che diventa la declinazione triestina del connubio fra ricerca e industria, all’insegna di una cultura non ancora diffusa a sufficienza nel nostro Paese. Eppure Trieste riesce in questo tipo di miracoli. D’Agostino elenca poi collaborazioni industriali come quella con Saipem che testa i droni sperimentandone le capacità subacquee in Porto Vecchio: «Così si crea una vera integrazione fra mondo della ricerca in una visione dello sviluppo portuale». E intanto, nonostante la pandemia, il traffico container ha piazzato un aumento del 3% e i container del 10%. D’Agostino spiega che i documenti spediti a Bruxelles nell’ambito del piano Adriagateway per accedere ai fondi del Recovery (388 milioni rispetto agli 1,2 milirdi concessi al Fvg) sono molto precisi e non aleatori: i progetti invididuati sono una settantina e riguardano la transizione digitale e energetica dello scalo dove l’elettrificazione delle banchine è l’obiettivo più importante.
Anche per il governatore Fedriga «l’ampliamento dei rapporti commerciali con i paesi del Far East è fondamentale. Non solo con la Cina, partner importante, ma anche con l’India che sarà protagonista nei prossimi anni. Il porto di trieste deve essere una porta d’ingresso fondamentale per tutta l’Europa. Sul fronte dell’innovazione dobbiamo riuscire a sfruttare l’elevato standing internazionale della città creando nuove opportunità economico. La Regione sta creando una Fondazione con Area Science Park anche per razionalizzare tutti gli enti scientifici e poli tecnologici della regione». —
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