Più redditività meno patrimonio così cambia pelle il mondo del vino
Il comparto del vino italiano in generale ha riconfigurato se stesso durante la pandemia scoprendo punti di debolezza, ma anche nuove vie di sviluppo e di forza. A cominciare da un ripensamento del modello di business del settore inora molto concentrato sull’aspetto patrimoniale, cioè della proprietà dei terreni, e per questo meno redditivo

È un Giano a due facce quello del comparto del vino a Nordest. Da un lato è stato assestato un colpo durissimo per l’azzeramento del canale Horeca, il lockdown, gli spostamenti annullati, la vita sociale inesistente, i mercati esteri paralizzati. Sul lato opposto la grande distribuzione organizzata ha retto, il mondo del canale on line ha spalancato i suoi bastimenti a flussi di compravendite in impennata costante, l’attenzione alla qualità ha premiato nuove soluzioni bio e campagne marketing hanno aggredito nuove e crescenti fette di mercato, come l’arrivo del Prosecco Rosé (celebrato anche da WS Journal).
La riconfigurazione Il comparto del vino italiano in generale, e quello del Triveneto in particolare, ha riconfigurato se stesso durante la pandemia scoprendo punti di debolezza, ma anche nuove vie di sviluppo e di forza. La distribuzione e le modalità di vendita al consumatore finale sono un elemento, molti altri ce ne sono. A cominciare da un ripensamento del modello di business del settore wine italiano finora molto concentrato sull’aspetto patrimoniale, cioè della proprietà dei terreni, e per questo meno redditivo e in grado di finanziare la crescita dimensionale delle aziende (come mostrano i grafici di Adacta).
Le conseguenze dello shock, si diceva, sono state meno rilevanti per gli operatori già legati alla Gdo o organizzati per le vendite online. Proprio il canale e-commerce è cresciuto moltissimo durante il 2020, ma ha un peso relativamente contenuto e insufficiente a sostituire le vendite perse nei canali di vendita tradizionali (la stima di Mediobanca, che risale a circa un anno fa, dava una incidenza non superiore allo 0,7 per cento del totale delle transazioni).
«Per tutto il 2020 con strascichi in questo inizio 2021 il settore è stato colpito dalla chiusura del canale Horeca, che nella normalità rappresenta il 30% del vino venduto e il 55% del valore (lo stop a wine bar e ristorazione è stato considerevole per il mercato interno ma non solo, le stesse modalità di prevenzione hanno suggerito chiusure parziali o totali più o meno in tutti i mercati) alla sofferenza del turismo, che non riguarda solo gli alberghi ma anche le vendite nei duty free degli aeroporti, "azzerate", e le forniture a bordo degli aerei e delle navi, che danno una grande visibilità al prodotto» spiega Sandro Boscaini presidente di Federvini. Il nodo promozione «Ora si comincia finalmente a respirare un’aria positiva, che aumenta di pari passo alla sicurezza che gli individui stanno piano piano riconquistando grazie alla massiccia azione di vaccinazione» aggiunge.

«Ma per la fase 2 il mondo del vino ha bisogno di essere aiutato, soprattutto con una campagna di promozione del prodotto e dell'Italia come meta turistica» conclude. Negli ultimi trent’anni, spiega uno studio di Intesa Sanpaolo, il vino italiano è passato da un sistema produttivo basato sulla quantità ad un’economia che punta su qualità e valore, scommettendo sulla propria identità, sui legami con il territorio, sulle certificazioni di origine. Oggi l’Italia produce meno vino, che vale molto di più: nel 1986 gli ettolitri prodotti erano 77 milioni per un valore aggiunto di 1,3 miliardi di euro, oggi gli ettolitri prodotti sono quasi 50 milioni, il 35% in meno, ma il valore aggiunto è salito a 4,3 miliardi di euro. L’evoluzione delle superfici vitate, nel territorio del Triveneto, ha avuto invece una dinamica in controtendenza rispetto all’andamento nazionale: dal 2006 ad oggi, infatti, quasi tutte le province hanno incrementato a due cifre la superficie coltivata. Un’evoluzione collegata all’ascesa del Prosecco, un caso scuola in termini di comunicazione e aggressione dei mercati esteri. Nel Veneto nell’ultimo decennio le superfici di Glera sono aumentate del 167% come pure il Pinot Grigio (+132,6%).
Certificazioni Dop e Igp Nel panorama italiano, scrive l’Ufficio Studi di Intesa, oggi il Triveneto riveste un ruolo di leader: le tre regioni insieme totalizzano oltre un quarto della produzione nazionale di vino, e quasi il 50% delle esportazioni, con un ruolo di spicco per il Veneto con 10,3 milioni di ettolitri e 2,3 miliardi di euro di esportazioni. Le tre regioni hanno investito molto anche nel processo di miglioramento qualitativo delle produzioni vitivinicole e oggi possono vantare ben 85 certificazioni DOP e IGP (53 per il Veneto, 19 per il Friuli-Venezia Giulia e 13 per il Trentino-Alto Adige). I mercati esteri in tutte le analisi sono considerati il vero trampolino di lancio per la ripresa. In primo luogo perchè ci sono spazi da poter conquistare, soprattutto nei mercati più lontani come l’Asia ed in secondo luogo perché le imprese per loro piccola dimensione faticano ad attuare strategie di comunicazione e di pricing in grado di risultare più aggressive. Come evidenziano gli studi di Mediobanca sono i principali elementi di svantaggio competitivo.

Agricoltura di precisione, biologico, e-commerce, finanza. Sono gli elementi cardine del comparto wine italiano. Con uno sguardo speciale al Nordest italiano sia per la numerosità delle imprese del comparto che per la dimensione e l’esposizione internazionale. Non avviene per caso che Intesa abbia istituito una direzione Agribusiness che si occuperà di interloquire proprio con questo mondo. E non avviene per caso che UniCredit nel suo basket bond di filiera, il programma da 200 milioni di euro complessivi in accordo con Cassa Depositi e Prestiti, abbia chiuso recentemente tre operazioni proprio nel settore vitivinicolo: a Nordest coinvolte Masi Agricola e Pasqua Vigneti & Cantine. Inoltre entrambi i grandi player bancari hanno istituito iniziative sul Pegno rotativo per avere credito sulla base dello stoccato in cantina.
«L’agroalimentare è un comparto strategico per l’Italia, rappresenta infatti l’11% del nostro PIL e occupa circa 1,5 milioni di persone» spiega Renzo Simonato responsabile direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo. La pandemia ha indotto molti cambiamenti, dall’attenzione alla sostenibilità alla digitalizzazione. «Penso all’enorme crescita del commercio online - sottolinea Simonato - che impone scelte strategiche ben precise e mi riferisco anche all’importanza per le aziende di fare investimenti che siano sostenibili, in un’ottica ESG». Il ruolo del credito, precisa Simonato, «è anche quello di favorire questi passaggi attraverso una consulenza professionale e credito ad hoc. Solo un esempio, abbiamo ai finanziamenti s-loan per gli investimenti sostenibili per le aziende che adottano azioni e pratiche che migliorano l’ambiente, la società e il buon governo dell’azienda. Questi sono gli anni decisivi per la transizione ecologica e digitale». —
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