Plastica e alluminio, arriva il vuoto a “rendere”. Per i produttori «l’idea è bella, ma difficile»

Sono obiettivi ambiziosi, quelli con cui il decreto Semplificazioni “sfida” il comparto acque minerali e bevande a un futuro più sostenibile, in vista dell’entrata in vigore, il prossimo 1° gennaio, della direttiva europea Sup (Single use plastics), che punta a ridurre la quantità di plastica favorendone il riutilizzo industriale

UDINE. Dal riciclo al riuso. Non soltanto incrementando il ricorso al vetro, naturalmente vocato alla cauzione, ma favorendo il ricorso al vuoto a rendere anche per la plastica e per l’alluminio. Sono obiettivi ambiziosi, quelli con cui il decreto Semplificazioni “sfida” il comparto acque minerali e bevande a un futuro più sostenibile, in vista dell’entrata in vigore, il prossimo 1° gennaio, della direttiva europea Sup (Single use plastics), che punta a ridurre la quantità di plastica favorendone il riutilizzo industriale.

«I principi sono condivisibili, ma in termini di applicazione è tutto rimandato al decreto attuativo. E quel tutto è davvero tanto, tantissimo». Lo scetticismo delle imprese del settore traspare evidente dalle parole di Ettore Fortuna, vicepresidente di Mineracqua, la federazione che rappresenta le industrie del comparto.

Un comparto che vale un giro d’affari da 3,2 miliardi («In termini di prezzi al consumo», non di fatturato, precisa Fortuna), dà lavoro a circa 45mila addetti tra diretti e indiretti.

Se il modello di riferimento (tanto per cambiare) è la Germania, leader in Europa per riutilizzo di bottiglie, in Italia si è investito molto per ridurre il peso della plastica, sceso del 30% negli ultimi dieci anni, ma le vendite (e il numero di bottiglie) crescono, e le aziende utilizzano in modo pressoché esclusivo il Pet vergine. «Quello riciclato è più caro», spiega ancora Fortuna, che analizza anche le ragioni del vantaggio tedesco: «Il loro sistema di riutilizzo, il Pfundsystem, è costato un miliardo di investimenti: si tratta, in sostanza, di una camera di compensazione dove la domanda di vuoti in plastica recuperati si incrocia con l’offerta, gestita da un sofisticato sistema digitale».

Un Pfundsystem all’italiana andrebbe costruito da zero, non solo in termini di tecnologie digitali, ma anche per la gestione della raccolta: «Chi ha parlato con la grande distribuzione? E chi ha parlato con i Comuni, che hanno l’esclusiva della differenziata e ci guadagnano pure?» chiede Fortuna.

È anche a questi interrogativi, soprattutto a questi, che dovrà rispondere il decreto attuativo da approvare (teoricamente) entro novembre. Un possibile punto di incrocio tra gli obiettivi del decreto (e della Sup) e i problemi tecnici posti dalle aziende? Un sistema che attribuisca alle aziende anche la “paternità” del Pet raccolto oltre, con campane capaci di leggere le etichette e quindi di consentire il ritorno al produttore che le ha immesse sul mercato, abbattendo i costi di riciclo e riutilizzo.

«Sarebbe un’estensione dei principi Epr (Responsabilità estesa del produttore, ndr), ma i Comuni dovrebbero rinunciare alla loro esclusiva sui rifiuti», spiega ancora Fortuna.

Obiezioni, quelle di Fortuna, che sintetizzano le posizioni dei big del settore, a partire da San Benedetto, il colosso di Scorzé (Venezia) leader in Italia nel settore delle bevande. Ma anche per realtà più piccole come la friulana Goccia di Carnia e la trentina Pejo (gruppo Cristallina Holding), la strada del decreto attuativo è in salita.

«Sul vuoto a rendere – spiega l’amministratore delegato Samuele Pontisso – partiamo da buoni numeri, perché già oggi siamo vicini al 30% di produzione in vetro, spinta dalle vendite ho.re.ca e dal porta a porta. Quanto alla plastica, l’Europa ci fissa un target del 25% di imballaggi riciclati entro il 2025, ma non sarà facile. Il sistema tedesco? Funziona benissimo ed è sicuramente il modello, perché la plastica può prestarsi benissimo a un sistema a cauzione: sotto il profilo tecnico e della sostenibilità energetica non ha nulla da invidiare a vetro e alluminio. Anzi».

Resta il problema della gestione della raccolta e dei costi del riciclo, «perché il Pet vergine oggi cosa molto meno e dà più garanzie di qualità e sicurezza». Per chiudere citando De Gaulle, il problema è vasto. —

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