Popolare Vicenza blocca la vendita di bond subordinati

Stop alle vendite, perdite a portafoglio. Per Bpvi si tratta di "prodotti non negoziabili". Bpvi e Veneto Banca, che ancora tratta i bond in filiale, hanno emesso obbligazioni subordinate per 1,3 miliardi di euro

VICENZA. La comunicazione è rimbalzata l'11 dicembre in tutte le filiali della Banca di Vicenza: stop alle vendite di obbligazioni subordinate. I dipendenti si sono guardati in faccia ma non hanno capito davvero cosa stava succedendo. Nell'intranet aziendale si legge che il motivo è la “mancanza di negoziabilità”. Ovvero questi prodotti non si riescono a vendere, spiega un insider: "Nessuno le compra". Ma è davvero così?

La decisione di certo ha avuto un contraccolpo: ieri un risparmiatore con “in pancia”  un'obbligazione subordinata che scade al 2016 al 4,60% di tasso non negoziabile, emessa nel 2009, ha perso il 5%. E se ne è accorto guardando al suo portafoglio. Mentre a Montebelluna, secondo le nostre fonti, all'11 dicembre i bond subordinati erano ancora trattati in filiale anche con acquirenti, tra cui alcune Bcc del territorio.

Il tema dei titoli subordinati è oggi argomento di discussione caldo, visto le recenti vicende di cronaca. Secondo un calcolo pubblicato da La Stampa il 12 dicembre, sarebbero in totale 1,3 i miliardi di euro di titoli subordinati emessi dalle due popolari venete, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Situazioni non comparabili, avverte il quotidiano e confermano gli esperti, con quello che sta accadendo a Carichieti, Etruria, Banca Marche e Cariferrara. Si tratta, continua la Stampa, di una decina di emissioni per Veneto Banca per 500 milioni di ammontare residuo più 800 milioni per le sette di Popolare Vicenza. L'ultima emessa da PopVi per 200 milioni, la banca l'ha venduta a investitori istituzionali. Ma prima questi prodotti sono finiti, come conferma anche il nostro risparmiatore, a utenti retail. Ma la profilazione sarà stata adeguata?

Le obbligazioni subordinate, come tutti i bond sono dei titoli di debito, che consentono a chi li compra di diventare creditore dell'emittente Banca, incassando periodicamente degli interessi: il dividendo o cedola. Rispetto alle obbligazioni ordinarie, però, quelle subordinate espongono i risparmiatori a un grado di rischio più elevato e in caso di fallimento della banca, in questo caso, i possessori di bond sono considerati dei “creditori di serie B” e quindi il diritto di essere risarcito arriva dopo altri soggetti come i dipendenti, i correntisti o i sottoscrittori dei bond ordinari e anzi concorrono a ripianare le perdite.

In circolazione oggi c'e' una massa di oltre 60 miliardi di obbligazioni subordinate emesse dalla banche italiane, più o meno redditizie, nelle mani di piccoli e piccolissimi risparmiatori o di grandi investitori, scambiabili o meno sul mercato. In un elenco stilato dagli analisti, fra le circa 370 emissioni la parte del leone per decine di miliardi la fanno i big (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca) ma figurano anche, per importi anche non disprezzabili, titoli di banche medie o piccole e Bcc. 

Queste obbligazioni subordinate sono quelle che hanno inguaiato i piccoli investitori privati di Banca Marche, Etruria, CariChieti e Carife. Banche che, negli anni scorsi, hanno collocato quetsi bond a “mani basse” ma con il decreto salva banche i circa 130 mila azionisti e 20mila possessori di bond subordinati si sono trovati in mano carta straccia. Già nel 2013 Bankitalia aveva lanciato l'allarme sui pericoli che avrebbero corso queste obbligazioni con l'ingresso delle nuove regole europee sullo stato di crisi delle banche. Qualora infatti una banca non sia in grado di ristrutturare il proprio capitale, azionisti e creditori subordinati sono tenuti a costribuire in prima istanza agli oneri di ristrutturazione.

@eleonoravallin

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