Presidio di lavoratori davanti alla ex sede di BpVi
VICENZA - Lavoratori in presidio a Vicenza, di fronte alla sede della ex Popolare acquisita da Intesa Sanpaolo, per chiedere garanzie sull’occupazione di 700 lavoratori rimasti fuori dalla «messa in sicurezza» avvenuta ormai nove mesi fa, quando le ex Banche Venete entrarono a far parte di Intesa.
«Un’operazione - sottolinea la Fabi - che, grazie all’intervento economico dello Stato, ha salvato migliaia di posti di lavoro, lasciando però 700 lavoratori nel limbo dell’incertezza».
«Ai lavoratori di Apulia Previdenza, Apulia Pronto Prestito, Gruppo banca Intermobiliare, Bpvi Multicredito, Claris Factoring, Claris Leasing, Farbanca, Immobiliare Stampa, Nem, Prestinuova, ancora oggi mancano certezze occupazionali future».
«A distanza di nove mesi dal salvataggio delle ex banche Venete da parte di Banca Intesa oltre 700 lavoratori non intravvedono prospettive. Per nessuna delle dieci aziende rimaste fuori dal perimetro di Intesa si è trovata ancora una soluzione - dichiara Giuliano Xausa, segretario nazionale Fabi - Il Governo dopo un primo incontro, dove aveva assicurato che nessun posto di lavoro sarebbe stato sacrificato, non ha ancora dato risposte concrete. Non si riesce a parlare nemmeno con i commissari liquidatori. Riteniamo impensabile lasciare 700 famiglie senza una prospettiva considerato che il salvataggio è avvenuto con i soldi pubblici. Useremo tutti i mezzi - conclude Xausa - per stare vicino ai lavoratori e risolvere al meglio la questione».
L'iniziativa è stata organizzata da diverse sigle sindacali di categoria Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil e Unisin.
I lavoratori esclusi si sono dati appuntamento di fronte alla ormai ex direzione della Banca Popolare di Vicenza.
Si tratta di società che i commissari liquidatori pensavano di poter vendere rapidamente.
Ma fino ad ora nessua cessione si è realizzata. Per questo, sostengono i sindacati, al momento non ci sono «“soluzioni che diano una prospettiva occupazionale per tutte le aziende e i dipendenti».
Anche il Governo, pur chiamato in causa, ad oggi non ha dato alcuna risposta concreta.
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