Progetto Refiber: a Trieste sotto la lente fine vita e recupero delle vecchie barche

L’idea è adottare la “Responsabilità estesa del produttore” per la gestione dell’intero ciclo di utilizzo

Giulia Basso

A Trieste, come nella stragrande maggioranza delle città di mare, ci sono fin troppe barche abbandonate nei prati e nei giardini del Carso, e sono solo la punta visibile di un iceberg. Dei sei milioni di barche, prevalentemente piccole, che compongono il parco nautico italiano, ogni anno sono 80 mila quelle a fine vita e solo duemila vengono riciclate. Una riflessione su questi numeri fa capire come sia indispensabile costruire una filiera che affronti, per modificarlo, l’intero processo che va dalla costruzione al fine vita delle imbarcazioni. È l’obiettivo al centro del progetto Refiber, nato dalla collaborazione tra la pmi Innovando Srl e Area Science Park, con il cofinanziamento del sistema Argo.

Refiber vuole dare una risposta concreta ai problemi ambientali ed economici legati alla dismissione di scafi in vetroresina: se non vengono abbandonate, le imbarcazioni finiscono in discarica nel 90% dei casi. Un problema che si intende gestire coinvolgendo tutti gli attori del processo produttivo, oltre ai ricercatori e ai legislatori.

Confindustria Nautica, per affrontare la questione, sta creando un Comitato per la sostenibilità che coinvolga tutto il mondo della nautica nell’individuazione di soluzioni, che vanno dalla ricerca su nuovi biocompositi a quella sul riciclaggio dell’esistente, passando per una completa revisione del processo di progettazione, che deve orientarsi su barche che possano essere disassemblate. «Anche a fronte della difficoltà crescente di reperimento delle materie prime e dell’impennata dei relativi costi, nel caso italiano, in cui la blue economy rappresenta un fattore competitivo di prim’ordine, la nautica dev’essere tra i settori che trainano il processo di sviluppo di un’economia circolare», sostiene Marcello Guaiana, coordinatore dei progetti di Economia circolare di Area Science Park.

Con Refiber si studia la fattibilità tecnico-economica e legislativa di una filiera del riciclo. Perché va bene concentrarsi sui procedimenti chimico fisici per trattare i materiali, che sono a buon punto, ma bisogna pensare alla navigazione d’avvicinamento a quest’ultimo miglio. Perciò le proposte, messe nero su bianco sul sito di Refiber, sono legate a un cambiamento del quadro normativo: l’idea è quella di allargare anche a questo settore la “Responsabilità estesa del produttore” (Epr). Basandosi sul principio di “chi inquina paga”, l’Epr è considerata dall’Ue una policy ambientale adatta per la gestione del prodotto nel suo intero ciclo di vita. È già applicata, con ottimi risultati, per la raccolta e gestione di prodotti come i Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), i pneumatici e i veicoli fuori uso, le pile e gli accumulatori. Perciò l’intenzione è di promuovere un decreto Epr sulle imbarcazioni, allineandolo con aspettative e necessità dei produttori.

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