Pubblicità virtuali e scouting sui mercati meno battuti: così i conti della “startup” Venezia FC tornano in utile
Gianluca Santaniello, executive manager della società presieduta da Duncan Niederauer, illustra le strategie del club: con la Serie A fatturato vicino ai 50 milioni di euro
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VENEZIA. Cercano nuovi revenue streams, perché l’impronta americana del nuovo Venezia Football Club è anche nel lessico, non solo nel piglio manageriale. Tradotto: in parallelo alla riduzione dei costi, bisogna “far soldi” anche in modi diversi dal tradizionale schema diritti tivù, botteghino, sponsor, magliette vendute. Come? Ce lo ha spiegato Gianluca Santaniello, executive manager della società presieduta da Duncan Niederauer dal 18 febbraio 2020, che ora torna sul palco della Serie A dopo vent’anni.
Santaniello, il calcio in Italia oggi non è redditizio per le società, lo dicono i numeri. Il Venezia come cerca di renderlo tale?
«Sin dal nostro arrivo, ormai diciotto mesi fa, cerchiamo di rendere il business autonomo e sostenibile. Abbiamo ereditato una situazione di bilancio con un passivo di sette milioni di euro al 30 giugno 2020, puntiamo a chiudere in attivo già nel 2022, dopo la prima stagione in Serie A».
Come?
«A partire da una riduzione dei costi di acquisto dei calciatori, che passa da una rete di scouting e data analysis su mercati meno battuti (due degli ultimi acquisti arrivano dalla MLS americana, ndr). Puntiamo su prospetti giovani, evitando agenti e logiche stagnanti di questo business in Italia».
Venezia è anche un brand-città globale, questo vi aiuta?
«Certo, e l’approdo in Serie A farà da acceleratore. Già in Serie B per noi il merchandising aveva numeri importanti, ora puntiamo a entrare nelle top-10 società italiane per fatturato proprio da merchandising».
Che in valori assoluti cosa significa?
«Dai benchmark che abbiamo, il Torino che è decimo incassa circa tre milioni di euro: puntiamo a quella fascia».
Restando sui numeri, quanto fattura il Venezia FC?
«Con la Serie A dovremmo andare vicini ai 50 milioni di euro, la parte certa sono i diritti televisivi, circa una trentina di milioni».
Nota dolente per molte società è l’alto costo degli stipendi in percentuale sugli introiti, il Venezia da questo punto di vista com’è messo?
«La rosa attuale ha un costo lordo dei salari di circa 18 milioni di euro, vanno messi dei paletti precisi».
Favorevoli al salary cap?
«Sarebbe meglio indicizzare i costi a determinati ricavi fissi, come i diritti televisivi, e mettere dei vincoli di spesa su quella base. Il resto sennò è aggirabile, magari con sponsorizzazioni dall’emiro, guardiamo cosa sta facendo il PSG...».
La pandemia mette un punto interrogativo sui ricavi da stadio.
«Sì, non abbiamo una campagna abbonamenti quest’anno, i biglietti saranno venduti di partita in partita su due fasce di prezzo, a seconda dell’avversario».
A che prezzi, se lo stadio sarà fruibile al 50%?
«Tra i 20 e i 250 euro circa per le partite di seconda fascia, fra i 30 e 350 contro le big. Non vogliamo prezzi alle stelle, l’obiettivo è anche quello di andare incontro ai tifosi e riempire lo stadio per dare sostegno alla squadra».
Costruirvi uno stadio di proprietà resta un progetto valido?
«Accantonato, al momento: la priorità per la Serie A è stata la rimessa a nuovo del Penzo, la cui riqualificazione, assieme a quella del centro di allenamento, fa parte del piano di rafforzamento del brand».
E sul fronte dei ricavi alternativi?
«Puntiamo per esempio a gestire in prima persona i diritti “virtual”, cioè le pubblicità che si vedono a bordo e al centro del campo in tivù: sulla CBS, per esempio, non si vedono gli sponsor che ci sono allo stadio, si vendono spazi nuovi. Molti si affidano ad agenzie terze, noi puntiamo a fare da soli per aumentare gli introiti, abbiamo creato una struttura dedicata. Altro filone è quello delle academy e camps per ragazzi nel mondo con il marchio Venezia».
La proprietà USA ha dato un’impronta più manageriale?
«Certamente, a partire da una cultura aziendale molto diversa da quella di tanti club che in Italia vengono gestiti come piccole imprese con un presidente-padrone e “gestori” più che manager. Il Venezia diciamo che è una startup, e i frutti di bilancio si vedranno fra tre-quattro anni».
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