Regionalizzare le autostrade, dal Nordest un nuovo modello

VENEZIA. Benetton è un marchio vincente nel mondo. Non sono abituati ai rovesci di fortuna e si è visto: sotto il viadotto autostradale sono finiti anche loro. Ci hanno messo giorni per riprendersi, poi hanno annunciato che pagheranno i danni ma al tempo stesso cercano di arginare la revoca della concessione informando che il semplice annuncio si è già tradotto in danno da rifondere agli azionisti. Se c’era un modo per inimicarsi definitivamente l’opinione pubblica l’hanno trovato.
La marea montante di accuse al gestore autostradale, responsabile oggettivo del disastro di Genova, dà fiato alla parte di governo che vorrebbe nazionalizzare le autostrade. Come hanno subito stabilito i Cinquestelle, trainati dal vicepremier Di Maio. Ma la Lega frena: Salvini dice di «non essere per le nazionalizzazioni ma per un sano rapporto tra pubblico e privato», anche se «è assolutamente necessario rivalutare tutte queste concessioni nel rapporto costi-benefici», ma soprattutto dice che «il pubblico deve controllare». Passaggio, quest’ultimo, che ha un solo significato: il pubblico deve avere la maggioranza, altrimenti non controlla un bel niente.
Nel Veneto solo il segretario della Lega Toni Da Re sostiene a spada tratta la nazionalizzazione delle autostrade e la revoca immediata della concessione a Benetton. Ma ragionandoci assieme si scopre che lo fa più per l’indignazione provocata dal disastro che per una vera scelta gestionale. Non a caso precisa: «Io non sono contro Zaia, non parlo delle autostrade venete ma di quelle nazionali».
Luca Zaia non vuol saperne di nazionalizzare: dice che sarebbe come cadere dalla padella alla brace ed è difficile dargli torto, se pensiamo alle condizioni della Salerno-Reggio Calabria. Per lui i passaggio allo Stato potrebbe avvenire solo in presenza di una legislazione meno farraginosa e con un cambio di passo della burocrazia. Cioè nella settimana dei tre giovedì.
Dello stesso avviso il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, anch’egli leghista. Anche lui come Salvini ritiene «fondamentale il controllo diretto sulle grandi opere, che per essere reale ed efficace deve svilupparsi vicino al territorio, non arrivare da Roma». Fedriga parlava mercoledì scorso al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, in un dibattito con il presidente della Provincia autonoma di Trento Ugo Rossi e il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti.
Ecco che si materializza uno scenario nuovo: non la nazionalizzazione ma la regionalizzazione delle autostrade. Zaia, Fedriga e Rossi potrebbero suggerire un modello di cambiamento per il dopo-disastro al presidente della Liguria Toti, perché la regionalizzazione nelle autostrade del Nordest è già avviata: l’A4 Padova-Venezia con il Passante, la tangenziale di Mestre e il raccordo per l’aeroporto, è gestita da Cav, Concessioni autostradali venete, una società interamente pubblica, composta da Regione Veneto e Anas; l’A22 del Brennero è a controllo pubblico da parte di Regione Trentino Alto Adige e Province autonome di Trento e Bolzano, su un modello mutuato dalle autostrade tedesche; Autovie Venete, la società che gestisce l’A4 Venezia-Trieste, ha la Regione Friuli Venezia Giulia come azionista di maggioranza.
Il passo successivo dovrebbe essere la fusione di queste società, con la nascita di una holding autostradale del Nordest. Nel Veneto se ne parla addirittura dai tempi di Carlo Bernini e Franco Cremonese, quando l’assessore regionale ai trasporti era Lia Sartori che all’inaugurazione della terza corsia dell’A4 Padova-Venezia sosteneva la necessità di una fusione con la Brescia-Padova.
Oggi la direzione ovest è bloccata perché l’autostrada Brescia-Padova è passata agli spagnoli di Abertis, mentre la nascita di una holding del Nordest è frenata da problemi di liquidità. Ai tempi di Bernini e Cremonese le società autostradali erano a gestione pubblica e a frenare la fusione erano le gelosie tra partiti e i problemi di spartizione dei posti nei consigli di amministrazione. Oggi, a quanto si legge, bisognerebbe liquidare il 22% dei privati presenti in Autovie, quota che vale 228 milioni di euro e il 15,3% dei privati nell’A22 del Brennero, quota che ne vale 255.
Chi dovrebbe tirare fuori questi soldi? Non pensiamo a Luca Zaia, che per la Pedemontana ha dovuto impegnarsi in un erculeo sforzo finanziario per garantire il bond emesso dai privati di Sis che la stanno costruendo in concessione. Altrimenti i lavori si fermavano. Con il risultato che abbiamo una situazione ibrida, non prevista dal contratto: i privati hanno un socio occulto che si chiama Regione Veneto.
Ma questo è meglio non suggerirlo al presidente della Liguria.
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