Sapelli: «Trieste città neo-industriale può riscattarsi con porto e scienza»
TRIESTE Per lo storico e economista Giulio Sapelli Trieste un «bellissimo esempio di città neo-industriale». Definizione non casuale che Sapelli, professore di Storia economica che ha insegnato in Europa, in Australia e nelle due Americhe, attribuisce alla vocazione economica di una città dall’antico passato industriale ma che oggi, grazie soprattutto alla rinascita del porto, riscopre un ruolo strategico nella logistica, nei trasporti e nella scienza grazie a una comunità di ricercatori di valore assoluto. Una città laboratorio che però deve stare lontana da una cultura dell’assistenzialismo e valorizzare l’integrazione fra scienza e mondo produttivo in modo che questo processo avvenga spontaneamente e senza aiuti pubblici. Proprio in questi giorni uscirà in libreria il nuovo libro di Sapelli che si intitola Nella storia mondiale: Stati, mercati e guerre (Guerrini e Associati). In questo volume il professor Sapelli ha raccolto le sue riflessioni scaturite dalla preoccupazione per le crescenti diseguaglianze e per la crisi dell’economia sociale e del lavoro: «Dobbiamo tornare a una economia regolata e a una finanza che guardi alla comunità e non al profitto del singolo individuo».
Professor Sapelli, siamo passati dall’era della globalizzazione alla crisi pandemica mondiale.
Stiamo assistendo all’avvento di una neo-industria digitale. La pandemia ha cambiato le dinamiche dei servizi non industriali che rischiano di scomparire cone il ristorante sotto casa. La stessa frenata della globalizzazione è ormai in atto da un paio di decenni e la pandemia ne è una concausa e non la causa principe.
Come si affronta una pandemia e quali le conseguenze a lungo termine di un emergenza così letale?
Dobbiamo imparare dagli asiatici. Possiamo uscirne indenni con la tracciabilità dei contatti, il distanziamento, l’uso della mascherina e la sanificazione dei trasporti con azoto e ossigeno come hanno fatto a Taiwan e Singapore. Siamo di fronte a un evento catastrofico, esogeno al mondo economico, dove viene colpita contemporaneamente l’offerta e la domanda. Pensiamo alla Peste di Camus. Una pandemia non si cura solo con le medicine o i vaccini ma con l’intelligenza sociologica e l’educazione sanitaria.
Come usare i fondi del Recovery Fund?
Rimettendo in moto la macchina dell’industria. In particolare bisogna rifondare l’industria della sanità rimediando ai tagli degli ultimi anni alla sanità territoriale. Dobbiamo ricreare gli ospedali territoriali dando lavoro a migliaia di imprese, riassumendo migliaia di medici, rifondando la sanità di quartiere. Con la salute non si fanno i soldi. Guardiamo all’esempio di Israele dove il successo delle vaccinazioni nella lotta al virus si deve anche al fatto che gli ospedali sono gestiti da Fondazioni.
Servirà una nuova Iri?
L’Iri è stata concepita dopo due guerre mondiali da uomini eccezionali come Alberto Beneduce e Bonaldo Stringher. Fra i primi presidenti ci fu Enrico Marchesano, un napoletano alto dirigente della Banca commerciale triestina. Oggi l’idea dell’industria di Stato è ormai superata. Ma come aiutare la ripresa? Finanzierei un piano in infrastrutture e per la creazione di nuove imprese innovative. Non convidivo l’Elycopter Money con finanziamenti diretti e continui della spesa pubblica. Per quanto riguarda i ristorni alle categorie costrette a chiudere a causa dei lockdown a mio avviso sono solo pannicelli caldi ed è sbagliato concederli in base al fatturato.
Trieste, che ha appena detto addio alla siderurgia, è una città post-industriale?
Non vedo nulla di post-industriale nella vocazione economica triestina che anzi deve ancora molto all’industria. Trieste è un bellissimo esempio di città neo-industriale che fornisce servizi avanzati nel commercio, nella logistica e nei trasporti. Lo stesso porto senza l’industria e il digitale non potrebbe esistere. Le gru e i container sono fatti di acciaio, ferro e alluminio ma sono governati dall’intelligenza artificiale. Trieste deve essere un porto di transito con la grande vocazione di fare vivere il suo hinterland movimentando anche le merci che si producono nel Goriziano e nel Friuli.
Lei ha più volte descritto un’Europa germano-centrica e orientata dalla manifattura tedesca, partner industriale e commerciale del Friuli Venezia Giulia. Come giudica lo sbarco dei tedeschi nel porto di Trieste?
Lo giudico un evento molto positivo. Trieste tuttavia non è l’alternativa tedesca alla Via della Seta che inizia a Shanghai ma finisce nel porto fluviale di Duisburg in Germania scelto dai cinesi come hub per l’arrivo della ferrovia dall’Est. Per usare un’immagine geopolitica il braccio sinistro tedesco si unisce al braccio destro cinese, presente in Slovenia, Serbia e nei Paesi balcanici, cingendo il Golfo di Trieste. La città è riuscita a valorizzare ancora una volta il suo destino economico di città che guarda a Est e Ovest. Va ricordato che l’imperialismo cinese agisce con il debito; la Germania con gli investimenti. Speriamo che questa strategia comune cino-tedesca nell’alto Adriatico porti sviluppo alla città.
Come vede la riqualificazione del Porto vecchio teresiano?
Nel Porto vecchio bisogna creare attività produttive. A mio parere è sbagliato riqualificare questa grande parte della città come se fosse Puerto Madero di Buenos Aires, un’area portuale riconvertita. Potrebbe essere l’occasione per insediarvi postazioni di smart working, scuole di formazione professionale, affittando gli spazi alle piccole e medie imprese. Meglio non spendere soldi per ricreare la movida. Anche in questa regione manca la manodopera qualificata, come dice il Ceo di Fincantieri Giuseppe Bono.. Per tutta la vita ho lavorato per creare un ponte fra lavoro intellettuale e industria. Io stesso ho cominciato come fotoincisore. Bisogna spingere sulle scuole professionali e i giovani devono cominciare presto a lavorare. Nel Paese abbiamo anche un problema di formazione della classe imprenditoriale: anche per questo la generazione dei Bono non ha trovato successori.
Come integrare industria realtà scientifiche triestine dove abbiamo la più alta densità di ricercatori in rapporto alla popolazione?
La cultura e la scienza deve essere resa autonoma da Stato e mercato. A Trieste la ricerca deve essere protagonista di un patto sulla conoscenza non disciplinata da leggi e finanziamenti. É un rapporto che funziona bene quando non viene eterodiretto a deve avvenire in modo casuale senza l’intervento dello Stato.
Le startup, nolto vivaci anche a Trieste, possono avere un futuro?
Questi ragazzi che lavorano nelle startup devono imparare come si redige un business plan. Sono bravi ma vanno affiancati. I finanziamenti? L’Italia resta un paese bancocentrico ma ci si può rivolgere al mercato dei fondi di investimento e del private equity, inventato in Italia da un grande innovatore come Esterino Piol. Bisogna evitare le trappole della burocrazia. Lei parteciperà alla presentazione del rapporto sull’economia regionale curato da Camera commercio Venezia Giulia e Ambrosetti House.
Come uscire dalla glaciazione prodotta dalla pandemia?
Questa regione è territorio pieno di opportunità con alle spalle Austria, Germania e soprattutto la Boemia, cuore dell’industria mondiale. Io sono ottimista e l’economia di questa regione riuscirà a risollevarsi. Bisogna stringere la cinghia come hanno fatto i nostri padri nel secondo dopoguerra. —
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