Sergio Marchionne, la vita incredibile dell’uomo col maglione che aggiustava le cose

PADOVA. C’è il suo primo piano. Un quasi sorriso, gli occhi leggermente a fessura, lo sguardo strizzato di chi capisce, la camicia a quadretti che sbuca dal maglione nero. È sweaterman, l’uomo con il maglione, il “Sergio Marchionne” di Tommaso Ebhardt. Esce oggi per Sperling & Kupfer. Un libro intenso che racconta la storia del ceo di Fca, uscito dalla penna del reporter che lo ha inseguito in lungo e in largo per tutto il mondo per oltre un decennio. Il suo “affectionate stalker”, come lo stesso manager lo definirà in diretta video, il giorno della quotazione di Ferrari a Wall Street.
La giusta distanza
Questa densa biografia degli anni incredibili alla guida di Fiat del top manager più amato e odiato d’Italia è lo specchio di un’amicizia professionale. Un racconto che tiene il giusto distacco dal manager, dall’uomo, dall’intelligenza travolgente e dall’ossessione per «aggiustare le cose» di questo italo-canadese, mezzo sangue tra un’esule istriana e un carabiniere abruzzese. «Quando ho terminato di scrivere ero sfinito» dice Ebhardt «ma questa è una cosa che andava fatta. Non è solo la storia di Marchionne, dell’underdog, il perdente di provincia che trova riscatto diventando tra i manager più importanti al mondo. Questa è anche la mia storia».
Ci sono tante cose in questo libro, spicca tra queste il rapporto tra Marchionne e John Elkann, «quello strano duo, il figlio del carabiniere Concezio e il principe del capitalismo tricolore». «Elkann è cambiato e cresciuto, da quel primo incontro tra loro 14 anni fa. E oggi si trova, senza Marchionne, davanti alla sfida più importante, cioè decidere che fare del futuro di Fiat Chrysler» dice Ebhardt. Una relazione fatta anche di strani ricorsi, il principe della dinastia Agnelli che nemmeno trentenne vola in Svizzera per incontrare il manager italo-americano risanatore e poi quattordici anni dopo, di nuovo in Svizzera, per un addio che non avranno mai l’opportunità di dirsi.

La malattia nascosta
«Quella mattina del 20 luglio ha la certezza che Sergio non tornerà, una malattia grave che ha tenuto nascosta a tutti. Anche a lui. In due giorni, tra sabato e domenica, deve nominare tre ad per tre aziende quotate. In Fca il processo era più avanzato. Altavilla era il sergente di ferro di Marchionne, ma non era il prescelto, e poi c’erano Palmer e Manley, i candidati forti. Elkann pensa di portare due nomi al board, ma poi Palmer si tira indietro. Lo dice ad Altavilla che a quel punto dà le dimissioni e chiede a Elkann di scriverlo nello stesso comunicato in cui annuncia il nuovo ad. Elkann, ovviamente, si rifiuta di farlo».
Non c’è in questo libro solo il racconto delle ore drammatiche prima della morte del manager, i grandi risultati, il deal perfetto con Chrysler (che il manager salva e poi usa per salvare i conti di Fiat), l’ossessione per la fusione definitiva (ma mancata con General Motors), la genialità di farsi pagare la rinuncia alla put (l’opzione che gli americani avevano di comprare Fiat) da GM 2 miliardi di euro salvando i conti del 2005, lo scontro con la Fiom e la rinascita industriale degli stabilimenti italiani. C’è anche la tenerezza di un top manager che manda un bigliettino scritto a mano alla figlia del suo reporter inseguitore, e ora biografo Ebhardt, scusandosi per averle rovinato «le sue sciate con il papà».
«Andiamo a sistemare il Paese»
E poi le rivelazioni, tantissime, colloqui inediti in cui l’uomo col maglione svela la sua visione dell’industria dell’automobile, le ossessioni «per aggiustare» anche se come gli ricorda Elkann «lui non è solo un fixer è anche un builder», uno che crea. Sullo sfondo quello che Marchionne avrebbe potuto essere di più, lo dice a mo’ di boutade, quando riesce a chiudere con Obama l’accordo per Chrysler. Ne parla con i suoi «quando abbiamo finito di sistemare il comparto dell’auto e lo mettiamo in sicurezza, allora basta, qui abbiamo finito. Lasciamo tutto. E andiamo a sistemare il Paese, l’Italia». È strano perché a modo suo, questo “coccione” (testardo) abruzzese, che a forza di prendere aerei aveva fatto diventare la terra piatta, per cui «vincere non è negoziabile», per cui «non puoi avere come obiettivo la mediocrità» e per cui l’italianità non ha un senso se sei un cadavere, con i suoi modi bruschi, l’Italia l’ha cambiata. Anche se, scrive Ebhardt, il prezzo pagato per fare tutto ciò è stato troppo elevato. Estremo. —
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