Sono i residenti delle regioni del Nord i più tartassati d'Italia
MESTRE (VENEZIA) - E' la Lombardia la regione che guida la classifica dei più "tar-tassati" d'Italia. Segue il Trentino Alto Adige, l'Emilia Romana e il Lazio. Il Veneto si posiziona al settimo posto, il Friuli Venezia Giulia al nono.
E' quanto emerge da un'analisi dell'ufficio studi della Cgia di Mestre che ha messo a confronto il gettito di imposte, tasse e tributi versati allo Stato, alle Regioni e agli Enti locali dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi, dai pensionati e dalle imprese residenti nel nostro Paese.
Come dicevamo, la regione che svetta nella graduatoria dei più “tartassati” d’Italia è la Lombardia: nel 2015 ogni residente di questo territorio (neonati e ultracentenari compresi) ha mediamente corrisposto al fisco 11.898 euro.
Subito dopo si collocano gli abitanti del Trentino Alto Adige, con un gettito medio di 11.029 euro e gli emiliano-romagnoli, con 10.810 euro.
Appena fuori dal podio, invece, si posizionano i laziali (con un versamento medio di 10.452 euro) e i liguri (con 10.121 euro).
In Veneto i cittadini pagano 9 mila 408 euro a testa, di cui 7.986 all'amministrazione centrale, 843 a quella regionale e 580 alle amministrazioni locali.
In Fvg il carico di tasse pesa per 9 mila 311 euro procapite, di cui 8.138 vanno allo Sato, 710 alla Regione, 462 ai Comuni.
Tutte queste regioni sono abbondantemente sopra la media nazionale che è di 8.800 euro, di cui 7.390 allo Stato, 825 alla Regione, 585 agli enti locali.
Le Regioni dove il fisco è meno “invasivo” sono quelle meridionali: nel 2015 in Campania il gettito pro-capite medio è stato pari a 5.703 euro, in Sicilia a 5.610 euro e in Calabria a 5.436 euro.
Nel Sud e nelle Isole, di fatto, il peso complessivo del fisco è pari a quasi la metà di quello “gravante” sui residenti del Nordovest.
“L’esito di questa analisi – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo - dimostra come ci sia una correlazione tra le entrate fiscali versate, il reddito dichiarato e, in linea di massima, anche la qualità/quantità dei servizi erogati in un determinato territorio. Essendo basato sul criterio della progressività, il nostro sistema tributario grava maggiormente sulle regioni dove la concentrazione della ricchezza è più elevata e il numero di grandi aziende è maggiore, anche se i cittadini e le imprese di queste aree dispongono, nella stragrande maggioranza dei casi, di servizi pubblici migliori rispetto a quelli presenti in altre parti del Paese”.
Da questa analisi, inoltre, emerge anche il forte divario esistente in materia di prelievo fiscale tra i vari livelli di governo. Ebbene, a fronte di un dato medio nazionale di 8.800 euro pro capite di tasse nazionali e locali versate nel 2015, l’84 per cento è stato “assorbito” dallo Stato centrale (7.390 euro pro-capite), un altro 9,3 per cento dalle Regioni (825 euro pro-capite) e, infine, il rimanente 6,7 per cento dagli Enti locali: come i Comuni, le Province e le Comunità montane (585 euro pro-capite).
Se, come abbiamo visto, il peso del fisco sui contribuenti delle regioni del Sud è nettamente inferiore rispetto al resto del Paese, il Segretario della CGIA, Renato Mason, precisa: “Negli ultimi tempi, però, la pressione tributaria sui contribuenti del Mezzogiorno ha subito degli aumenti decisamente superiori al resto d’Italia. A seguito del disavanzo sanitario che ha contraddistinto in questi ultimi anni i bilanci di quasi tutte le Regioni meridionali, i Governatori di queste realtà sono stati costretti ad innalzare fino alla soglia massima sia l’aliquota dell’Irap sia quella dell’addizionale regionale Irpef con l’obbiettivo di riequilibrare il quadro finanziario”.
Da un punto di vista metodologico i tributi analizzati in questo studio sono riferiti al valore aggiunto generato nelle singole regioni.
Rispetto al 2016, quest’anno il carico fiscale medio nazionale è previsto in calo di 0,4 punti percentuali, grazie soprattutto, alla ripresa del Pil e alla riduzione dell’aliquota Ires (Imposta sui redditi delle società) che dal 27,5 scende al 24 per cento. Quest’ultima misura farà risparmiare alle società di capitali quasi 4 miliardi di euro. Pertanto, nel 2017 la pressione fiscale in Italia dovrebbe attestarsi al 42,5 per cento.
Un trend che prosegue ormai da qualche anno, anche se in misura ancora del tutto insufficiente. Dopo aver toccato il record storico nel biennio 2012-2013 (43,6 per cento), successivamente ha cominciato a diminuire (vedi grafico), sebbene continui a permanere un forte gap tra la pressione fiscale ufficiale (42,5 per cento) e quella reale (48,8 per cento), ovvero quella effettivamente “subita” dai contribuenti fedeli al fisco.
A livello europeo, comunque, continuiamo a far parte del novero dei Paesi più tartassati. Nel 2016 l’Italia si è collocata al 7° posto con una pressione fiscale del 42,9 per cento: 2,8 punti in più della media europea e 1,6 punti superiori al dato medio dell’area euro. Tra i principali paesi dell’Ue, solo la Francia registra un dato superiore al nostro (47,5 per cento), tutti gli altri, invece, presentano livelli nettamente inferiori. La Germania, ad esempio, manifesta una pressione fiscale del 40,3 per cento, i Paesi Bassi del 38,9 per cento, il Regno Unito del 35,4 per cento e la Spagna del 34,4 per cento (vedi Tab. 2).
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