Sospeso il bond da 86 milioni, più tempo per Veneto Banca
MILANO - Ci vorrà ancora del tempo, ma l'orizzonte per Bpvi e Veneto Banca si va schiarendo.
«Non commentiamo i casi aperti. Possiamo solo ribadire che lavoriamo in stretta cooperazione con le autorità italiane per le banche»,
ha dichiarato ieri il vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'euro, Valdis Dombrovskis.
Più esplicito Pier Carlo Padoan: «Sono fiducioso per una soluzione positiva a breve sulle banche venete», ha dichiarato il ministro dell'Economia.
«Stiamo lavorando proficuamente, il governo e le istituzioni italiane stanno lavorando su tutti i requisiti giuridici e normative per facilitare la soluzione concreta dei problemi», ha quindi aggiunto.
Ieri, il Consiglio dei ministri ha dato via libera al decreto per congelare per sei mesi il rimborso del bond subordinato di Veneto Banca in scadenza il 21 giugno.
La mossa dell'esecutivo è propedeutica alla soluzione in corso di negoziato con le autorità europee.
Una sospensione così strutturata non costituisce infatti, spiegano gli esperti, un evento di default perché non è una decisione della banca ma di un'autorità terza nell'ambito di un negoziato su aiuti di Stato.
Di contro un eventuale rimborso potrebbe creare problemi legali a carico al cda dell'istituto in vista di un possibile burden sharing che coinvolgerebbe gli altri subordinati.
Il bond congelato, emesso per un importo nominale di 150 milioni, vale 86 milioni.
Continua, intanto, la moral suasion sulle banche italiane per convincerle a impegnarsi nel salvataggio.
Il primo a cogliere l'invito dell'esecutivo a intervenire, in modo da creare un cordone sanitario ed evitare una crisi generalizzata di sfiducia verso il sistema nazionale del credito, è stato il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier.
Il manager francese ha convinto i grandi azionisti della sua banca dell'opportunità di impegnarsi in questa partita, ottenendo un sostanziale via libera, condizionato alla capacità di coinvolgere anche gli altri istituti nazionali.
L'interlocuzione è partita con l'altro grande gruppo italiano, Intesa Sanpaolo, e ha prodotto subito i frutti sperati, dato che dai vertici di Ca de' Sass sono state ammorbidite le posizioni, accettando di fatto un nuovo impegno - dopo l'esperienza negativa di Atlante 1 -, ma a patto di avere garanzie dal Governo che si tratterà davvero dell'ultimo sforzo.
Una richiesta arrivata anche dagli altri soggetti che si sono detti possibilisti, da Poste a Unipol, passando per Mediobanca e Iccrea.
Non saranno invece della partita Mps, a sua volta alle prese con un duro piano di risanamento, Ubi, che deve ancora integrare le tre banche regionali finite con le gambe per aria alla fine del 2015, e Banco-Bpm, impegnate nella fusione.
A questo punto si tratta di provare a coinvolgere altri player di medio livello, con la speranza che le autorità europee nel frattempo riducano le richieste di ripatrimonializzazione da parte dei privati, passando dagli attuali 1,2 miliardi a non più di 700-800 milioni di euro.
Se la vicenda si chiarirà, il management potrà avere un orizzonte più sereno davanti a sé per mettere a punto il nuovo piano industriale, che inevitabilmente dovrà comportare duri sacrifici sul fronte occupazionale.
Proprio per questa ragione si è subito interrotto il confronto con i sindacati per discutere del piano di solidarietà messo a punto dalla Popolare di Vicenza prima che la situazione precipitasse.
Si tornerà a discutere dopo che il quadro sarà più chiaro e si avrà una visione più attendibile dei tagli in arrivo.
Anche perché oggi non appare più così certa la fusione tra le due banche venete.
Non è infatti escluso che si proceda alla cessione dei singoli istituti, se non addirittura di parti di essi, ai soggetti che prenderanno parte a questo nuovo salvataggio.
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