Stipendi ai top manager delle banche: servono tre vite da bancario per un anno da Ad

Rapporto della First Cisl sui megacompensi dei top manager delle banche italiane. Lo stipendio medio annuo di un dipendente dev'essere moltiplicato da 40 a 122 volte per raggiungere quello di un amministratore delegato

UDINE - Un amministratore delegato delle banche italiane può guadagnare oltre 100 volte lo stipendio medio di un bancario del suo gruppo, che deve così lavorare tre vite per avere la stessa retribuzione annuale.

Uno studio del sindacato First Cisl fa i conti in tasca ai vertici degli istituti di credito italiani - da Carlo Messina di Intesa a Jean Pierre Mustier di Unicredit, fino agli Ad delle banche minori - e segnala multipli fra i salari dei dipendenti e quelli dei vertici che in alcuni casi raggiungono le 40, 50 e appunto 122 volte.

Per il segretario FIrst Giulio Romani «ci vuole subito una legge» del nuovo governo per «stabilire un tetto e soprattutto legare le retribuzioni dei manager a obiettivi di carattere sociale in un arco temporale di medio lungo termine».

«Considerate le varie voci di remunerazione e il fair value delle azioni ricevute come incentivo - spiega il responsabile dell'Ufficio Studi di First Cisl, Riccardo Colombani - il ceo di Intesa, Carlo Messina, ha incassato quasi 5,5 milioni di euro, che equivalgono allo stipendio medio annuo di 122 dipendenti del gruppo: sono 15 mila euro al giorno, inclusi i festivi. L'ad di UniCredit, Jean Pierre Mustier, è a meno della metà: 6.200 euro al giorno, inclusa la parte azionaria, per un totale di 2,3 milioni, corrispondenti a 53 salari medi del gruppo. Restando nel perimetro delle big 5 italiane, gli ad del Banco Bpm, Giuseppe Castagna, e di Ubi, Victor Massiah, hanno incassato rispettivamente 1,8 e 1,6 milioni di euro, mentre l'ad del Monte dei Paschi, Marco Morelli, ha ricevuto 1,1 milioni, come lo stipendio di 22 dipendenti, il doppio rispetto al moltiplicatore di 10 retribuzioni imposto dalla Commissione europea a luglio in sede di approvazione della ricapitalizzazione prudenziale della banca (a partire da quella data il suo stipendio é sceso a 466mila euro lordi ). Senza averne obbligo, è invece allineato al livello di 10 volte lo stipendio medio dei dipendenti il presidente del Banco Bpm, Carlo Fratta Pasini, che ha incassato 560 mila euro».

«Al di fuori dal perimetro delle big 5 del credito - continua Colombani -, non è certo irrisoria la retribuzione dei manager di Carige e Creval, due banche che attraversano difficoltà. Per ciascuno dei suoi 193 giorni di lavoro in Carige, l'ad Paolo Fiorentino ha avuto quasi 3.750 euro, per un totale di 723 mila euro, equivalenti a quanto hanno avuto nello stesso periodo 29 dipendenti della banca ligure. Al Creval il dg Mauro Selvetti e il presidente Miro Fiordi hanno ottenuto compensi intorno ai 700 mila euro, pari a una quindicina di stipendi medi. Il competitor locale, la Popolare di Sondrio, adotta invece politiche retributive molto diversificate per i due ruoli apicali: l'ad Mario Alberto Pedranzini ha ottenuto 1,4 milioni di euro, equivalenti a 28 stipendi medi, mentre è di soli 6 salari il moltiplicatore del presidente Francesco Venosta, che ha ricevuto 314 mila euro».

La proposta del sindacato, spiega Romani, è di una legge che raccolga le norme europee e internazionali elimini le possibili lacune interpretarive ad esempio sulla questione dei bonus di entrata e di, uscita e aggiunga altre norme.

Ora in Italia le indicazioni Eba ed europee sono recepite da un regolamento di Banca d'Italia (soggetto a modifiche e amppliamenti proprio in questo periodo) che stabilisce appunto il rapporto massimo tra retribuzione fissa dei top manager e retribuzione media dei dipendenti e un compenso variabile dei vertici al massimo doppio rispetto alla parte fissa.

L'idea della First è di una norma che preveda però che «almeno un terzo dei salari manageriali debba essere vincolato all'effettivo conseguimento di obiettivi, verificabili, di natura sociale quali, ad esempio, la crescita dell'occupazione, la stabilità di valore dei prodotti finanziari emessi, la qualità del credito erogato e l'offerta di educazione finanziaria alla clientela».

Per Romani quindi «le politiche di remunerazione dei top manager andranno verificate da commissioni paritetiche tra aziende e rappresentanze dei lavoratori e l'assemblea dei soci dovrà esprimersi in merito. Sono regole che mirano ad escludere azzardi nella gestione manageriale e per questo crediamo che la loro eventuale violazione diventi un vero e proprio fattore di rischio operativo e comporti dunque uno specifico accantonamento a riserva e l'inibizione dall'emissione di obbligazioni subordinate».

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