Biometano a passo lento: «Anche a Nord Est siamo lontani dagli obiettivi»

Maccarrone (Energy&Strategy): «Il Pnrr è un’opportunità che non è stata pienamente sfruttata». In seguito alle aste approvati 34 impianti in Veneto e quindici in Friuli Venezia Giulia

Giorgio Barbieri
Enibioch4in SpA promuove l’intera catena del biometano (foto dal sito)
Enibioch4in SpA promuove l’intera catena del biometano (foto dal sito)

La produzione e l’utilizzo del biometano in Italia non decollano nonostante l’interesse e le potenzialità di crescita. Ad oggi, sono 115 gli impianti allacciati alla rete del metano, di cui 77 al Nord, 13 al Centro e 25 al Sud, per una capacità produttiva di circa 570 milioni di metri cubi/anno. E il Nord Est sembra confermare questo trend.

«Attualmente in Veneto c’è un discreto numero di impianti già operativi, in Friuli Venezia Giulia ce ne sono meno, ma di taglia più grossa», spiega Paolo Maccarrone, direttore scientifico dell’Outlook Biometano 2024, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, «dalle aste effettuate risultano approvati 34 impianti in Veneto e una quindicina in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di valori lontani dagli obiettivi contenuti nel Pniec che fissano la produzione a 5,7 miliardi di metri cubi/anno entro il 2030, con un focus sui consumi nei trasporti e nella produzione di energia termica per settori industriali difficili da decarbonizzare».

Rafforza l’Europa energetica

Il biometano è infatti al centro delle politiche europee: l’obiettivo al 2030, sfruttando in particolare le risorse messe a disposizione dal piano REPowerEU, è raggiungere i 35 miliardi di metri cubi di produzione, per favorire la transizione energetica, ma anche rafforzare la sicurezza energetica del continente, priorità emersa con urgenza a seguito del conflitto russo-ucraino. Target specifici sono poi stati definiti per la penetrazione del biometano in settori chiave come quello marittimo e l’aviazione, per promuovere l’adozione di combustibili di origine biologica.

«In un contesto di transizione energetica sempre più urgente», aggiunge Maccarrone, «il biometano rappresenta una straordinaria opportunità per combinare sostenibilità ambientale, sicurezza energetica e valorizzazione delle risorse locali, ma il pieno sviluppo di questa filiera richiede un impegno strategico condiviso, capace di superare barriere economiche, normative e logistiche per trasformare un potenziale promettente in un pilastro concreto della decarbonizzazione».

Risorse per riconvertire

Per accelerare lo sviluppo del settore, il governo italiano ha varato nel 2022 un decreto che disciplina l’accesso alle risorse stanziate nell’ambito del Pnrr, pari a 1,73 miliardi di euro, tra il 2023 e il 2025, finalizzate sia alla riconversione di impianti di biogas già esistenti, sia alla costruzione di nuovi, attraverso un meccanismo di aste competitive.

Il Decreto prevede due tipologie di incentivi: un sostegno in conto capitale e una tariffa incentivante per il biometano prodotto. Tuttavia, le quattro aste (su cinque) finora concluse hanno registrato una capacità produttiva assegnata nettamente inferiore al contingente disponibile, mantenendo l’Italia in ritardo rispetto al passo dell’Europa. «È stata appena aperta la quinta asta», aggiunge Maccarrone, «tuttavia i tempi ora sono molto stretti. Il Pnrr temo sia stata una bella opportunità non sfruttata pienamente».

Servono spazi maggiori

Tornando alle richieste di autorizzazione, la maggior parte riguarda impianti di biometano di nuova realizzazione: pur condividendo le stesse materie prime, nonché parte del processo di produzione, la conversione degli impianti a biogas per la produzione di biometano non è infatti né semplice (per l’incremento di spazio necessario a ospitare il sistema di upgrading, per lo stoccaggio del digestato) né conveniente sotto una soglia dimensionale minima (o sopra una determinata distanza dalla rete di distribuzione del metano).

«L’andamento dei prezzi di mercato del metano e dei costi operativi», conclude Maccarone, «gli impianti non sembrano economicamente sostenibili in assenza di incentivi: qualora non ne venissero introdotti di nuovi, è forte il rischio che gli impianti vengano “spenti” al termine del quindicesimo anno. Anche per questo, è chiaro come sia di fondamentale importanza avere chiarezza sulle politiche di sviluppo dell’intero settore nel lungo termine».

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