La “vetrina” digitale: specchio di false promesse
Uno dei più originali e innovativi sociologi italiani decostruisce in 7 mosse una delle principali ideologie del nostro tempo: «Ci avevano detto che sarebbe stato tutto gratis»
Si calcola che sono circa 5 miliardi i “cybernavigatori” che vivono “nella rete”. Un mondo parallelo che si interseca con la vita reale, in un gioco di rimandi e di specchi di difficile interpretazione. Vanni Codeluppi, Professore ordinario di Sociologia dei consumi dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia analizza quelli che definisce in un saggio: “I 7 tradimenti del digitale, ed. Laterza”, le false promesse di una rivoluzione che ha cambiato la nostra esistenza, i linguaggi relazionali e persino i modelli economici che hanno connotato la storia dell’Occidente.
Professore i “7 tradimenti” evocano i sette vizi capitali. E’ corretta l’analogia?
Credo si debba sviluppare un’analisi critica dell’ideologia che sostiene attualmente lo sviluppo di Internet dal punto di vista industriale e commerciale. Un’ideologia che non ha portato i benefici promessi sia ai singoli individui sia alla società nel suo complesso. È indubbio che il mondo digitale abbia portato dei notevoli vantaggi agli utenti, in quanto consente di mettere a disposizione degli elevati livelli di facilità e comodità d’uso, ma negli ultimi decenni si sono progressivamente evidenziati anche i suoi limiti. L’ideologia del web basa il suo funzionamento su sette concetti chiave, a ciascuno dei quali fondato su un impianto ideologico che ho cercato di approfondire, spiegare e smontare.
Il destino dell’uomo nella dinamica del progresso tecnologico, un tema oggi molto dibattuto. Cosa pensa in merito?
Credo che sia importante riflettere su quel processo di trasformazione che il mondo digitale opera costantemente sulla nostra realtà sociale. Il mondo digitale, infatti, ha successo perché è un sistema estremamente efficace nel convertire qualsiasi cosa esista nell’universo, come ad esempio i suoni o i dipinti, in un dato numerico quantificabile e calcolabile e pertanto in qualcosa che può essere facilmente stoccato, modificato e diffuso. Ciò spiega perché tutto oggi tenda a essere progressivamente trasformato mediante un processo di digitalizzazione. Gli strumenti digitali però non sempre riescono a registrare tutte le infinite sfumature di ciò che esiste nel mondo fisico. Dunque, la traduzione digitale semplifica e fa sì che inevitabilmente tenda a perdersi una seppur limitata porzione del mondo. Aveva ragione McLuhan: come i pesci non abbiamo idea cosa sia l’acqua perché viviamo immersi in essa, così come viviamo immersi nell’ambiente mediatico digitale senza quella distanza che serve a praticare una riflessione critica ed è su questo che bisogna riflettere per ridare centralità all’essere umano.
“In un garage può nascere l’idea vincente”. Nella prima parte del saggio viene ricordata la figura di Steve Jobs. Cosa rimane di quell’esperienza?
L’invenzione di una tecnologia in un garage da parte di un gruppo di giovani “nerd” è una delle mitologie ricorrenti che numerosi autori hanno dimostrato essere palesemente falsa. Detto questo, è evidente che Steve Jobs, Steve Wozniak e tanti altri geniali giovani americani sono stati in grado di dare vita a un mondo tecnologico innovativo e originale. Ma bisogna soprattutto ricordare che tale mondo non esisterebbe se la ricerca scientifica delle aziende e delle università non fosse stata massicciamente sostenuta dall’esercito e dello Stato americano attraverso importanti quantità di denaro. E’ grazie a tali investimenti che abbiamo avuto aziende come Apple che rimane una delle realtà tecnologiche più avanzate del panorama internazionale.
Se in Rete tutto è gratis, come le multinazionali del web vogliono farci credere, il valore come va misurato?
Quella della gratuità è un’illusione pericolosa. Se non c’è una tariffa da pagare, il valore economico viene prodotto dalle aziende sfruttando il tempo e le informazioni che riguardano la vita degli utenti. Nei primi anni, sembrava che Internet potesse dare vita a un mondo nuovo in grado di realizzare quello spirito di libertà che era stato rivendicato dai movimenti giovanili californiani negli anni Sessanta. Quest’idea ha comportato che ogni richiesta di pagamento dei servizi offerti dalle imprese venisse sistematicamente rifiutata da parte degli utenti, ma tale situazione non poteva essere sostenibile da un punto di vista economico e non a caso si è determinato il fallimento di tutti i servizi d’informazione a pagamento che erano stati lanciati sul mercato.
Con quali conseguenze?
Le conseguenze hanno comportato un’apertura a forme commerciali di scambio che hanno una chiara matrice capitalistica. Una forma legittimata da un modello ideologico neoliberista che ha permesso una grande libertà d’azione alle aziende, alcune delle quali, proprio grazie a tale libertà, hanno assunto delle posizioni di tipo monopolistico. Ciò è stato reso possibile anche da quel processo di crescente “mediatizzazione” che caratterizza le società ipermoderne e, all’interno di tale processo, dal ruolo svolto dalle marche aziendali, che operano come veri e propri “ambienti” dove è possibile stabilire una connessione costante tra produttori e consumatori. In un tale contesto i brand accumulano valore sfruttando le conoscenze, i modelli culturali e le innovazioni che vengono prodotte dagli individui e dalla società. Ciò, in generale, tende a produrre un processo di “fluidificazione” che annulla le differenze culturali e sociali. La società si fa liquida e apparentemente più omologata.
La “tutela del corpo elettronico”, celebre definizione di Stefano Rodotà, è pura utopia in una società in cui il dato è divenuto un “motore del business”?
Difendersi dal cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” è materia complessa. La barriera della privacy oggi appare piuttosto fragile. Assistiamo tutti i giorni a processi all’interno dei quali i nostri dati personali sono oggetto di strategie aziendali di appropriazione e trasformazione in valore economico. E nei prossimi anni il diffondersi dei nuovi programmi basati sull’intelligenza artificiale non potrà che peggiorare questa situazione, dato che tali programmi non possono fare a meno di nutrirsi di un’enorme quantità di dati.
La realtà virtuale, che come insegna il filosofo Pierre Levy va studiata come una nuova categoria dell’essere è un’altra “falsa promessa”?
Credo che il concetto di realtà virtuale sia abbastanza sopravvalutato. Gli artisti hanno sempre cercato di costruire dei mondi di finzione alternativi rispetto a quelli quotidiani. Hanno utilizzato a tale scopo diversi strumenti espressivi, come il linguaggio orale, la parola scritta e la scrittura alfabetica. E a volte la funzione esercitata sul piano sociale dalle diverse forme di scrittura è stata affiancata dall’analogo ruolo svolto dalla rappresentazione teatrale. Quando è arrivata la stampa, tale invenzione ha spinto ulteriormente in avanti questo processo. E così è successo per i media successivi. Via via, dunque, le persone si sono abituate a una forma di conoscenza che è in grado di assumere un carattere autonomo rispetto al contesto sociale all’interno del quale agisce. La realtà virtuale è soltanto più potente, nonostante questo la sua diffusione incontra ancora diversi ostacoli.
“La vetrinizzazione sociale” è un fenomeno che caratterizza la modernità, che Lei ha studiato. Il metaverso è la vetrina proiettata sul laboratorio dell’uomo immortale”?
Il metaverso sarà uno spazio nel quale gli individui dovranno “vetrinizzarsi”. Anche in questo caso ci sono ancora diversi ostacoli da superare sul piano tecnologico, se però entreremo nel “mondo del metaverso”, questo non potrà che essere anch’esso “vetrinizzato”. Già oggi il profilo personale che ciascun utente è in grado di costruirsi all’interno dei social media richiede agli individui di raccontarsi e presentarsi al meglio. Si dà così vita a una vera e propria vetrina virtuale personalizzata, che tende a ridurre i contatti “faccia a faccia”, nei quali ci si incontra fisicamente con gli altri, mentre aumentano le possibilità di manipolare la propria identità personale da “dietro le quinte” dello schermo. Grazie alle possibilità tecniche offerte dai social media, tutti sono costantemente impegnati oggi nel definire l’immagine personale che desiderano e nel cercare di gestirla attivamente. E lo saranno probabilmente sempre più in futuro.
La scheda
Ci avevano promesso un mondo nuovo e libero. È nato un nuovo modello capitalistico. Ci avevano promesso che tutto sarebbe stato gratis. Scopriamo di pagare cedendo un pezzo alla volta dati che ci riguardano e su cui si fanno affari. Insomma ci avevano promesso tutto e invece l'universo digitale alimenta livelli ancora più intensi di dominio da parte di poche aziende private. Peccato che questo universo coincida con quello in cui trascorriamo gran parte del nostro tempo e in cui probabilmente vivremo in misura ancora maggiore nei prossimi anni. Uno dei più originali e innovativi sociologi italiani decostruisce in 7 mosse una delle principali ideologie del nostro tempo.
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