Dall’attesa dopo le elezioni alla cena mancata a Davos: perché Intel ha detto addio all’Italia
Dalle montagne innevate della svizzera Davos, dove si è aperto il World Economic Forum, dopo oltre un anno di tira e molla è arrivata la parola definitiva sull’investimento di Intel per la realizzazione a Vigasio, nel Veronese, di un centro di “back-end” dedicato all’assemblaggio e all’impacchettamento dei microprocessori. A pronunciarla è stato lo stesso amministratore delegato della multinazionale americana, Pat Gelsinger, che ha abbandonato le formule possibiliste degli ultimi mesi affermando al quotidiano la Repubblica che per quanto riguarda l’Italia «in questo momento non c’è nessun progetto attivo. Siamo focalizzati sugli stabilimenti in Germania e Polonia».
Una doccia gelata non tanto per il governo - a Roma si era già da tempo messo in conto che l’investimento fosse sfumato - ma per il presidente della Regione Luca Zaia che si era impegnato in prima persona per portare in Veneto il colosso americano, il cui progetto avrebbe garantito investimenti per 4,5 miliardi di euro oltre alla creazione di cinquemila posti di lavoro tra diretti e indotto.
A questo punto sarà necessario capire come sia stato possibile veder sfumare un investimento di tale portata. Soprattutto alla luce del fatto che a ottobre 2022, proprio mentre Mario Draghi si preparava a passare la campanella a Giorgio Meloni, la trattativa era praticamente conclusa.
A Palazzo Chigi infatti si erano appena tenute le ultime riunioni con i vertici della società americana. Il dossier era stato seguito da Vittorio Colao, allora ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, che con Gelsinger aveva una lunga consuetudine.
Nei mesi precedenti, grazie anche alla collaborazione degli uffici della Regione Veneto, era stata individuata Vigasio come area più adatta per l’insediamento. La cittadina, situata vicino a Verona sulla strategica autostrada e ferrovia del Brennero, aveva quindi battuto la concorrenza del Piemonte grazie all’ottimo collegamento con la Germania e in particolare con la città di Magdeburgo, dove Intel ha in programma di aprire altri due stabilimenti.
In quelle settimane erano stati anche effettuati in Veneto gli ultimi sopralluoghi che avevano dato esito positivo. La partita era dunque chiusa ma, per evidenti motivi di opportunità dato che di lì a pochi giorni ci sarebbe stato il cambio di governo, i vertici di Intel decisero di aspettare l’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi per firmare l’accordo.
Ed è a questo punto che il dialogo tra Roma e la California, dove a Santa Clara ha sede Intel, si interrompe. Complice forse anche il tentativo in extremis del governatore forzista del Piemonte, Alberto Cirio, di tornare in partita. Per settimane quindi dal governo Meloni nessuno avvia contatti con i vertici della multinazionale, che resta in attesa.
E proprio un anno fa, sempre al World Economic Forum di Davos, si sarebbe dovuto tenere un incontro chiarificatore tra i rappresentanti del governo italiano e i vertici del colosso americano. Pat Gelsinger aveva infatti invitato a cena il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il suo collega alle Imprese Adolfo Urso, ma entrambi alla fine disertarono il Forum e dunque la cena.
Da allora è stato un lungo tira e molla di annunci senza mai nulla di concreto. Fino a ieri quando Gelsinger deve aver deciso che era giunto il momento di parlare chiaro. «Stiamo costruendo alcune delle fabbriche più grandi del mondo, per produrre gli oggetti più piccoli del mondo», ha spiegato sottolineando che in Italia, «in questo momento non c’è nulla di attivo. Siamo focalizzati sugli stabilimenti in Germania e Polonia». Diplomaticamente ha poi aggiunto che «nessun Paese è escluso». Ma resta il fatto che l’Italia, e dunque il Veneto, non è più presente nella lista dei progetti che in questo momento la società sta portando avanti.
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