Timore per Amarone e Prosecco dallo spettro dei dazi Usa

La politica protezionistica di Trump preoccupa i produttori di vino del Nordest. Nell'attesa il 9 aprile scatta Vinitaly

TREVISO - L'ipotesi di dazi commerciali ai paesi dell'Ue stando alle dichiarazioni dal presidente Usa, Donald Trump, impensierisce, tra i tanti, il settore agroalimentare veneto e in particolare quello del vino che ha nell'Amarone e nel Prosecco le due punte di diamante, con fatturati e percentuali di vendita in crescita nel 2016.

Timori che aleggiano su Vinitaly che inaugura il 9 aprile a Verona.

«Per il momento non facciamo parte della lista nera dei prodotti soggetti ai 'dazi punitivì e che comunque sembrerebbe non espandersi ulteriormente - rileva il direttore del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella, Olga Bussinello -, probabilmente anche per via del fatto che il vino è già di per sé soggetto ad una serie di adempimenti economico normativi particolarmente onerosi. Un esempio sono le norme relative alla burocrazia legata all'esportazione del vino, come i parametri particolari da seguire per l'etichettatura, o le analisi organolettiche particolarmente attente alla composizione del vino e all'assenza di residui chimici. A questo vanno aggiunti tutti i problemi legati alla tutela dei prodotti di origine protetta che negli Usa non godono di una corsia preferenziale come in Europa, ma sono equiparati a qualsiasi marchio registrato».

Qualche preoccupazione coinvolge il presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore DOCG, Innocente Nardi, che registrato in Usa nel 2016 una vendita di 2.821.434 bottiglie (il 9% dell'export) per un valore di 12.781.096 euro.

«Il mercato Usa per noi è in crescita. Dalla ricerca che il Cirve ha realizzato per il Rapporto Economico di Distretto 2016 emerge una prospettiva favorevole per la nostra Denominazione, infatti, si evidenzia una crescita a valore che potrebbe portare alla vendita del prodotto a circa 20 dollari (prezzo a scaffale)».

A Nardi «non fa piacere sentir parlare di barriere all'entrata in un mercato promettente come quello statunitense. Il protezionismo per un mercato maturo come quello americano è anacronistico e nuoce soprattutto al consumatore poiché verrebbe limitata la libertà di scelta. Al momento però ci atteniamo ai fatti, sono solo dichiarazioni e nulla più».

Per il "cugino" Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc, «se l'ipotesi di inasprimento delle accise o l'applicazione di eventuali dazi dovesse prendere corpo dovremo ricorrere a opportuni provvedimenti. Confidiamo ovviamente che tale ipotesi non diventi realtà. Tuttavia - confida - stiamo già lavorando per scongiurare che il 70% del mercato sia concentrato in soli tre paesi e in tal senso abbiamo intensificato le nostre azioni di promozione in paesi come Cina, Giappone, Russia, perfino l'Australia. Con risultati che cominciano a dare soddisfazione».

«Gli Usa - ricorda Zanette - rappresentano per il Prosecco uno dei tre principali mercati, attualmente secondo solo al Regno Unito. Nel 2016 il mercato americano ha registrato un ulteriore incremento del 30,6% rispetto all'anno precedente con il quale oggi arriva a coprire quasi il 20% dell'intera quota export (19,1)».

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