Top 500: la Marca è uscita dalla crisi

Presentato lo studio di PwC e Ca' Foscari sulle aziende trevigiane. Dialogo con Rampini all'Appiani il 3 dicembre a Treviso: 420 aziende delle prime 500 monitorate sono tutte in utile
Federico Rampini dialoga con il pubblico alla presentazione di Top 500
Federico Rampini dialoga con il pubblico alla presentazione di Top 500

È ripresa. La Marca è uscita dal lunghissimo rettilineo della crisi. E affronta il 2016 con la forza della sua avanguardia: 420 aziende delle prime 500 sono in utile. E nel 2014 è cresciuto anche chi perde. Un certificato di (buona) salute. Lo stila «Top 500», il dossier di tribuna di Treviso, Pwc, e Ca’ Foscari: alla sua terza edizione, sancisce l’uscita dal guado e conferma di aver accompagnato le nostre imprese nel periodo più buio – nel 2013 erano in mezzo al guado, nel 2014 vedevano l’altra sponda – fino a rivedere la luce. Una missione oggi accentuata dalla nascita di «Nordest economia», nuovo inserto mensile del nostro giornale.

Svolta cruciale, per la Marca. Nessun trionfalismo, ma è stato agganciato il treno della ripresa; gli imprenditori hanno retto l’impatto della crisi («con tenacia, fiducia e determinazione» dirà Vardanega, ex presidente di Unindustria Treviso). E alle aziende e ai protagonisti della ripresa è arrivata ieri, oltre al certificato di sana e robusta costituzione, anche una straordinaria, aggiornatissima bussola. Quella di Federico Rampini. Ieri – alla presentazione del rapporto in un affollato auditorium Appiani – il giornalista de la Repubblica e scrittore ha offerto gli strumenti della sua esperienza intercontinentale per farci orientare nel mondo del Caos (titolo del suo ultimo libro edito da Mondadori), sempre più dominus del dis-ordine mondiale contemporaneo.

Rampini ha delineato il mondo «dove il baricentro non è più l’Europa, e non è più l’America»; dove la globalizzazione per la prima volta rallenta e peseranno sempre più «rivoluzione energetica, demografia, ricerca scientifica»; dove stenta e si ferma il Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ma mercati vecchi e nuovi offrono «grandissime opportunità, perché Texas e New York sono piazze da aggredire in maniera diversa». L’auditorium ha viaggiato nei gironi concentrici contemporanei - post danteschi? - con cui Rampini nel libro esplora il Caos. L’emergenza ambientale («bisogna salvare la nostra razza dall’estinzione, la precedente è stata quella dei dinosauri; non salvare il pianeta, che ci sopravviverà»); la questione demografica e migratoria («il modello Usa è l’insuperato riferimento per integrare tante etnie, senza buonismi ma con doveri, rispetto delle regole e delle leggi prima dei diritti»); il disordine geopolitico («la sfiducia delle liberaldemocrazie occidentali»); il caos tecnologico («quanti lavori anche intellettuali, quanti colletti bianchi saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale»). Ricette? «Smettiamola con i sensi di colpa dell’Occidente, archiviamo il ’900».

Magari, per il Medio Oriente, «la storia della pace di Westfalia per il congresso di Vienna». E poi le speranze. «Draghi, la Bce e Federal Reserve, unici a governare l’economia». E ancora, «la lezione dell’11 settembre: terrorismo (e guerre) non piegano l’economia». E per le imprese trevigiane, occhio alla quasi parità euro dollaro e ai tassi Usa in imminente rialzo...». Infine le provocazioni giunte dalla sala: Rampini ha rilanciato, da autentico «nomade globale), come ama definirsi. I freni di sistema e l’austerity, le diseguaglianze dei redditi, cui nemmeno la new economy pone rimedio; il tetto di Maastricht e le austerity, «che non riescono a frenare la corruzione»; la colossale sottrazione di gettito fiscale dei paesi off shore, ma anche dell’«europeissima Irlanda, tollerata dalla Ue»; i nodi infrastrutturali, vedi la banda larga che ieri ritardava di 2 minuti il ritorno audio nel collegamento volante con Sky. Ma anche riscontri assoluti. Utili che non si trasformano in posti di lavoro e nanismo sono questioni pesanti, nel Nordest delle Pmi. Ma se gli States hanno il 5% di tasso di disoccupazione, la Marca ha il 6,7% (era l’8% in piena crisi). «Anche la più piccola start up deve avere come obiettivo il mondo».

Così, in un ponte virtuale con la Silicon Vallery, Rampini ha invitato gli imprenditori a essere «tanto creativi quanto “disrupting” (dirompenti)». La nuova grande sfida per le imprese di Marca, dopo aver rivisto la luce. Aveva aperto l’incontro Tiziano Marson, caporedattore della tribuna; quindi Pierangela Fiorani, direttore della tribuna e degli altri quotidiani veneti del gruppo Espresso, aveva sottolineato l’impegno del giornale nel raccontare l’economia della Marca e del Nordest, «storia di aziende e di uomini, di idee e di successo»; Filippo Zagagnin (Pwc), aveva ribadito il valore della collaborazione con tribuna e Ca’ Foscari. Fra il pubblico – attentissimo alle dense relazioni tecniche di Moreno Mancin e di Nicola Anzovino – anche il sindaco Giovanni Manildo, il prefetto Laura Lega e i big dell’imprenditoria, da Vardanega a Tomat, da Airoldi a Pastore, da Feltrin a Donadon, da Paola Carron a Gaio, dai Menuzzo a Sabrina Carraro. In sala anche Fabiano Begal, consigliere delegato della divisione Nordest del gruppo Finegil, e Roberto Bernabò, direttore editoriale Finegil.

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