Transizione energetica con scadenza 2035: automotive alle corde

Il settore dell’automotive fa i conti con una tempesta perfetta, con il Triveneto che paga più di altri per la sua storica vocazione industriale nel settore, anche se non mancano casi di aziende che stanno cavalcando con profitto le nuove tendenze
Luigi Dell’olio
Poloni Monastier ditta Texa in foto titolare Bruno Vianello
Poloni Monastier ditta Texa in foto titolare Bruno Vianello

Le difficoltà congiunturali, legate a Covid e alla carenza di componenti e ora aggravate dalla guerra, e la sfida della riconversione all’alimentazione elettrica che in Europa dovrà essere completata entro il 2035. Il settore dell’automotive fa i conti con una tempesta perfetta, con il Triveneto che paga più di altri per la sua storica vocazione industriale nel settore, anche se non mancano casi di aziende che stanno cavalcando con profitto le nuove tendenze.

I numeri dicono che a gennaio le immatricolazioni di auto nuove in Italia si sono fermate a 107.814 unità, il 19,7% rispetto a dodici mesi prima. Il dato diffuso da Unrae segue un 2021 di ripresa modesta (+5,5%) che non è bastata a risollevare il bilancio rispetto al 2019 (-24%). Una performance non molto dissimile da quella dell’Ue a 27 (-25,6%), zavorrata da un biennio nero per le principali economie, dalla Germania (-27,3%) alla Francia (-25,1%), alla Spagna (-31,7%). L’economia nel suo insieme è vicina a recuperare i livelli pre-Covid, ma il Triveneto ha una forte vocazione in questo comparto.

Se fosse solo un problema congiunturale, come l’impennata dei prezzi delle materie prime e la difficoltà nel reperire alcune componenti, le preoccupazioni sarebbero in qualche modo governabili, dato che la maggior parte di queste realtà ha fondamentali solidi. A preoccupare più di ogni altra cosa è la decisione dell’Unione europea di stoppare entro il 2035 la vendita di nuove auto che producono emissioni di carbonio, una decisione confermata anche dal Governo italiano con la posizione del Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica.

Questa misura, se non accompagnata da interventi, potrebbe portare in Italia ad una perdita di 63 mila posti di lavoro tra 2025 e 2030. «Occorre che imprese, sindacati e istituzioni lavorino insieme per gestire e guidare il cambiamento senza subirlo: per questo tutte le parti sociali dell'industria metalmeccanica e meccatronica hanno presentato un piano per l'automotive al Governo», analizza Federico Visentin, presidente di Federmeccanica e della Mevis, azienda con sede a Rosà (Vicenza), tra i principali produttori di componenti metallici di alta qualità e precisione. «Bisogna attivarsi con urgenza, la filiera dell’auto è una delle più importanti del Nordest, con molte aziende che rivestono un ruolo cruciale nella catena di fornitura per i grandi produttori italiani, francesi e tedeschi».

Il Governo ha fatto sapere che è al lavoro per una strategia industriale che consenta di affrontare questa sfida epocale e per gli operatori è importante che l’intervento non si limiti a ripristinare gli incentivi per l’acquisto di auto nuove. «Non si può pensare che una mossa simile sia sufficiente ad affrontare i problemi creati dalla transizione energetica. Occorre una politica industriale con una visione chiara che individui le linee strategiche e gli obiettivi, e che soprattutto si fondi sulla neutralità tecnologica».

Secondo uno studio condotto da PwC Strategy per Clepa (l’associazione europea della componentistica automotive), il passaggio all’elettrico a tappe forzate potrebbe comportare la perdita di mezzo milione di posti di lavoro nel Vecchio Continente, 60 mila nella sola Italia. La filiera produttiva automotive vale oltre il 5% dell’intera occupazione manifatturiera nell’Ue, con più del 60% di questi lavoratori impiegati dai fornitori di componenti. Le difficoltà sono già evidenti, ad esempio nel Vicentino, dove hanno sede numerose Pmi che riforniscono le case automobilistiche di tutto il mondo di componenti come i motori per regolare i sedili e gli arredi delle plance.

La veneziana Speedline, che produce ruote in lega leggera e fa parte della multinazionale svizzera Ronal, ha deciso di delocalizzare la produzione in Polonia. La conseguenza è che 600 operai dello stabilimento di Santa Maria di Sala entro fine anno perderanno il lavoro, 800 se si considera anche l’indotto.

Anche se non mancano esempi di senso opposto. Come la OZ Racing di San Martino di Lupari, che commercializza cerchi in lega e ha deciso di condividere i risultati con i propri dipendenti assegnando a ciascuno di loro un bonus di mille euro. Le cose vanno bene anche per la Novation Tech di Montebelluna, che fino a quindici anni fa si occupava di stampaggio plastico e oggi è tra i big europeo nella lavorazione e produzione di componenti in fibra di carbonio e materiali compositi per il settore dell’automotive. La domanda è in crescita e l’azienda ha in programma di aprire due nuovi stabilimenti a Signoressa, per i quali serviranno 60 persone. —

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