Trieste e la nuova Via della Seta cinese
Il grande progetto infrastrutturale cinese della Belt and Road Initiative (Bri) è un'opportunità per il porto e la città, visti da Pechino come un possibile accesso ai mercati dell'Europa centrale
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Il porto di Trieste svolgerà una funzione fondamentale per la Belt and Road Initiative (Bri), il grande progetto geopolitico e infrastrutturale lanciato dalla Cina, e ribattezzato come la 'nuova' Via della Seta. Trieste infatti può essere uno degli sbocchi delle merci cinesi, e delle nuove infrastrutture per gestirle, della rotta marittima della Via della Seta, che passando da Suez attraversa il Mediterraneo in direzione dei porti dell'Europa Settentrionale. In particolare la Cina vede Trieste come porta privilegiata per accedere non solo al mercato italiano, ma soprattutto a quelli dell'Europa centrale, sbocco finale non solo della rotta marittima ma anche della rotta terrestre che attraversa l'Asia centrale, lungo la direttrice della più antica e famosa Via della Seta raccontata da Marco Polo.
Agroalimentare, export e know-how: sono questi i tre pilastri che reggono gli accordi con la Cina sotto l’egida della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative). Nel 2018, la Repubblica Popolare ha investito 12 miliardi di dollari nella Bri, il 6,4% in più rispetto all’anno precedente. Inoltre, ha firmato progetti per un valore contrattuale di 80 miliardi di dollari (+48% rispetto al 2017).
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L’interscambio commerciale con i partner dell’iniziativa ha superato gli 860 miliardi di dollari. Le aziende cinesi hanno investito 11 miliardi di dollari in progetti sotto il cappello della Bri e avviato 82 zone di cooperazione economica e commerciale all’estero.
Tra le più attive vi sono i colossi logistici Cosco e China Merchants Group. Il primo, che controlla il porto del Pireo, ha da poco preso la gestione di un terminal container ad Abu Dhabi. Ha già aperto un centro di ricerca a Ravenna, e punta al porto di Trieste, con altre aziende cinesi interessate allo scalo marittimo inclusa China Merchants.
Il 23 marzo 2019 in occasione della visita del presidente Xi Jinping a Roma è stato firmato un Memorandum d'Intesa tra l'Italia e la Cina, che ha provocato numerose polemiche prima e dopo l'arrivo del leader cinese. Il nostro Paese è stato l'unico membro del G7 e tra i grandi big europei a firmare un accordo politico e non solo commerciale con Pechino sulla Bri, provocando le proteste degli Stati Uniti.
Inoltre altri paesi europei, come la Francia, pur non firmando un accordo politico, hanno firmato accordi commerciali per cifre superiori all'Italia.
Quello tra Italia e Cina è soprattutto un'intesa quadro nell'ambito del quale procedere con accordi specifici. Molto quindi dipenderà dagli incontri successivi. All'interno del governo è stato soprattutto il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Michele Geraci, in quota Lega, il promotore dell’adesione di Roma alla Nuova Via della Seta. Geraci ha riconosciuto nella città di Trieste un ruolo cardine per il progetto cinese.
Lo scalo triestino, con un’attività centenaria alle spalle e unico porto franco d’Europa, diventa uno snodo nevralgico dei traffici nell’Europa centrale e cuore delle esportazioni in Cina a seguito dell’accordo integrale tra il colosso China Communication Construction Company e l'Authority portuale di Trieste e Monfalcone sullo sviluppo della rete ferroviaria fino a Villa Opicina e Cervignano. “Una spinta al Made in Italy”, ha affermato il presidente dell’Authority di Trieste Zeno D’Agostino, dopo la firma dell'accordo tra Cina e porto di Trieste che rientra nei 29 documenti siglati a Palazzo Madama tra il governo cinese e quello italiano nell'ambito del Memorandum.
La Nuova Via della Seta, nota anche come la Belt and Road Initiative (BRI) nella sua sigla internazionale, è un progetto infrastrutturale lanciato dalla Repubblica Popolare Cinese. Voluta dal leader cinese Xi Jinping, l’iniziativa strategica ha come obiettivo il miglioramento dei collegamenti commerciali che dalla Cina arrivano nei Paesi dell’Eurasia attraverso rotte terrestri e marittime.
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Dall’anno del suo lancio, il 2013, la Nuova Via della Seta ha riconosciuto il coinvolgimento e il consenso di numerosi Stati: in Asia, nelle regioni lungo l’Oceano Indiano e il Mediterraneo, Pechino si è presentata con investimenti dal valore di miliardi di dollari. Grazie al contributo finanziario della Silk Road Fund e della AIIB, la banca di investimenti asiatici creata ad hoc (dove partecipano congiuntamente 57 paesi, tra cui anche l’Italia), la Nuova Via della Seta ha costruito una fitta rete di infrastrutture, porti, pipeline e ferrovie, in grado di provvedere ad alcuni presupposti fondamentali per la Cina: consentire la circolazione più rapida delle merci e controllare gli snodi più importanti delle rotte, sia terrestri che marittime. Secondo il governo cinese sono 157 i paesi nel mondo che hanno firmato accordi nell’ambito del progetto, con oltre 67 che si sono uniti nell’ultimo anno. Nel corso di questi anni la BRI ha ottenuto importanti successi e si è completata con alcuni organi di natura economico-finanziaria. Tuttavia, resta alto l’allarme lanciato da diversi Paesi, in particolare quelli del blocco europeo e gli Stati Uniti, che denunciano la 'trappola del debito' in cui sono caduti molti governi che hanno aderito al progetto infrastrutturale internazionale i prestiti facili elargiti dalla Cina hanno portato molti stati asiatici e africani a indebitarsi in modo eccessivo e costretti quindi a cedere asset fondamentali e rimanere legati senza via d'uscita a Pechino.
- Lo speciale de Il Piccolo
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- Cinque anni di Belt and Road: non solo trade e connettività
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- L'Italia tra Cina e Usa e la Via della Seta (video)
- Trieste e Genova entrano nella belt and road cinese
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