Trieste, la delibera Anac scippa a D’Agostino la nomina a “capo” dei porti europei
Il manager veronese era a un passo dall’investitura alla guida dell’associazione che rappresenta tutti gli scali dell’Ue
Zeno D'Agostino durante la manifestazione in piazza a Trieste
TRIESTE Un’altra conseguenza negativa si profila all’orizzonte per Zeno D’Agostino e, stavolta, per l’intero sistema portuale italiano. Il destino pare cinico e baro. Il 24 giugno non sarà solo il giorno dell’udienza del Tar del Lazio che si pronuncerà sulla sospensiva alla decadenza da presidente dell’Autorità portuale, ma anche la data entro cui dovranno essere avanzate le candidature per la nuova guida di Espo, l’Organizzazione europea dei porti marittimi di cui D’Agostino è attuale vicepresidente. La scalata era una chance reale, ma la delibera dell’Anac rischia di farla naufragare sul nascere.
D’Agostino è stato indicato alla vicepresidenza nel novembre 2018, in rappresentanza dei porti dell’Europa meridionale. Incarico di massimo rilievo, se per assumerlo il manager scelse di lasciare l’influente presidenza di Assoporti, coordinamento delle Autorità portuali italiane. Il mandato biennale del presidente Eamonn O’Reilly è in scadenza e gli organi di Espo saranno rinnovati in autunno. Nell’associazione è abitudine che i porti dell’Europa settentrionale e quelli mediterranei si alternino alla guida: dopo l’irlandese O’Reilly sarebbe dunque toccato a un esponente delle coste meridionali Ue. E D’Agostino aveva tutte le possibilità (e le intenzioni) di fare il salto al vertice della portualità europea.
Il dispositivo dell’Anac prevede l’inconferibilità dell’incarico assunto da D’Agostino a Trieste: il presidente non è soltanto decaduto dal ruolo, ma fino a sentenza del Tar risulta di fatto non averlo mai ricoperto perché non nominabile. Mancherebbero allora i requisiti per rivestire una posizione in Espo. È il problema che si stanno ponendo dentro Assoporti, al lavoro assieme alle associazioni degli scali degli altri Paesi per trattare sui candidati da presentare entro il 24. Le designazioni sono frutto di alleanze strette nella fase preliminare dalle rappresentanze nazionali, che hanno ciascuna tre voti in assemblea e che, dopo il deposito dei nominativi, cercano solitamente di arrivare con una terna già costituita da presidente e vicepresidenti in pectore.
Facile immaginare la preferenza italiana per un proprio rappresentante e l’ulteriore spinta derivante a D’Agostino dall’aver già ricoperto la vicepresidenza per un biennio, col supporto di Belgio, Finlandia, Francia, Lettonia, Olanda, Romania, Spagna, Irlanda, Svezia, Norvegia e Regno Unito. Difficile però che la candidatura possa essere avanzata tra dieci giorni, col Tar che non si sarà ancora pronunciato nel merito della decadenza.
L’Italia perderebbe l’opportunità di essere per due anni al timone dei porti europei, in anni cruciali dopo l’emergenza coronavirus. Fondata nel 1993, Espo rappresenta 1.200 scali dislocati in Ue e si definisce una «lobby indipendente degli interessi dei porti marittimi»: un soggetto capace di pesare sulle politiche della Commissione europea nel campo delle infrastrutture. Le ricadute per l’Italia non mancano, con Roma contraria da anni alla trasformazione delle Autorità portuali in spa richiesta da Bruxelles.
La presidenza pone al centro di una fitta rete di relazioni, che gioverebbero anche alla causa del porto di Trieste, sempre a caccia di finanziamenti per il rafforzamento della capacità ferroviaria, impegnato ad attirare partner nordeuropei e in eterna trattativa per l’applicazione del regime di porto extradoganale. Il via al porto franco richiede in particolare importanti passaggi formali a Bruxelles, dove la burocrazia e i porti del Nord non amano le esenzioni fiscali su traffici e manifattura che – decise da un trattato di pace preesistente all’Unione – sarebbero un’eccezione assoluta nell’ordinamento comunitario. —
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