Un vitigno esigente, una donna caparbia: così Katja ha vinto la sfida del Pinot Nero
BELLUNO. Un vitigno capriccioso, delicato ed esigente. Una donna caparbia, infaticabile e appassionata. E un borgo rurale disteso al sole tra boschi, prati e pendii. Sono questi i protagonisti di una storia che ha il sapore dell’entusiasmo e della fatica, dei raffinati sentori di un vino esclusivo, della solarità di un progetto visionario.
È la storia di Katja Zanon e del suo Pinot Nero, vino che costituisce per ogni produttore un’autentica “prova di bravura”, al quale ha deciso di dedicarsi in modo esclusivo, quasi totalizzante, nel 2011. Quando aveva quasi quarant’anni, due figlie e un impiego in tutt’altro settore.
Ma anche un piccolo appezzamento di terreno nei pressi della casa di famiglia a Codenzano di Chies d’Alpago (a 560 metri), una passione per il vino nata frequentando corsi per Sommelier, e i ricordi d’infanzia di quando suo padre la portava nel piccolo vigneto che coltivava per il consumo domestico.
Disboscare e ricostruire
«La viticoltura, seppur per il consumo familiare, è sempre stata praticata a Codenzano» precisa lei «tanto che i muretti dei terrazzamenti viticoli erano parte della struttura del paese, dov’era noto che terreno e microclima erano favorevoli alla viticoltura. Poi l’alluvione del 1966 spazzò via molti muretti a secco e l’abbandono della faticosa agricoltura di montagna fece prosperare la vegetazione selvatica. Tanto che quando mi misi in testa di riavviare il vigneto, la prima necessità fu disboscare e ricostruire i terrazzamenti».
«È stata un’idea un po’ folle» ammette.
«Lavoravo con il mio compagno Gianluca nella sua impresa che si occupa di energie rinnovabili ed ero la proprietaria di mezzo ettaro di terreno assieme alle mie sorelle, cui non interessava coltivarlo. Non avevo nemmeno grandi mezzi economici né conoscenza del settore. Però avevo, allora come adesso, il mio compagno al mio fianco per affrontare un lavoro immane, che – tra l’altro – molte persone mi sconsigliarono di intraprendere.
«Avevo,nel frattempo, coinvolto in questa avventura anche mio cugino Lorenzo, enologo nelle grandi cantine della Borgogna, dov’è nato: la sua grande esperienza nel territorio d’elezione del Pinot Nero ci ha sostenuti e incoraggiati moltissimo. E, con gigantesca fatica, siamo riusciti a creare il vigneto nel modo più naturale possibile: abbiamo persino scortecciato a mano, uno ad uno, migliaia di pali di acacia per il sostegno alle viti.
«In paese ci guardavano con curiosità, soprattutto quando cominciammo a costruire la nostra piccola cantina, perché i pochi viticoltori bellunesi non erano, allora, produttori di vino ma conferitori di uve. E quando, nel 2015, inviammo in Borgogna il primo vino della vendemmia 2014, ottenemmo il giudizio incoraggiante di autorevoli degustatori: fu un momento decisivo, in cui tutte le fatiche furono ripagate dalla consapevolezza di essere sulla strada giusta. Da allora il mio lavoro è proseguito, se possibile, con ancor più energia, fortunatamente apprezzato anche da alcuni ristoratori della zona, che sono diventati i nostri primi e fondamentali promotori».
Mille bottiglie
Katja, Gianluca e Lorenzo hanno così acquisito altri terreni a Codenzano e tolto altra vegetazione selvaggia per fare posto alle viti, che ora si estendono su circa tre ettari, dai quali ricavano più o meno un migliaio di bottiglie l’anno di solo Pinot Nero. Pochissime, è vero. Ma di una qualità rara. Come quello scampolo di Dolomiti al quale la caparbietà di Katja ha impresso nuova energia produttiva.
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